La Libia cerca pace in Sicilia
Guerra e tregua. Un conflitto frammentato lungo le coste e focalizzato attorno a Tripoli. Della polveriera libica hanno parlato, a New York, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il Premier Giuseppe Conte e il Presidente Usa Donald Trump.
Conte ha rinnovato l’invito a Trump e al Segretario di Stato Mike Pompeo per la conferenza sulla Libia, in programma in Sicilia a novembre.
La contrarierà degli Stati Uniti alle preventivate elezioni libiche di fine anno, ha spinto l’Onu e, sulla scia delle Nazioni Unite e degli Usa, la stessa Francia a dichiarare di non ritenere credibile oltre che possibile il voto vista la situazione di grave instabilità del Paese.
Anche se fragile, l’ultima tregua evita che la situazione a Tripoli precipiti definitivamente e consente all’Italia di rafforzare i rapporti col Generale Khalifa Haftar, che in prospettiva sembra rappresentare il baricentro di un nuovo inizio per la Libia. Il più concreto del dopo Gheddafi.
“Haftar ha molto attenuato la durezza del militare senza mezze misure ed è divenuto molto più cauto perché non vuole legare il suo nome alla eventuale nuova strage di civili della conquista di Tripoli” afferma l’analista Arduino Paniccia, Docente di studi Strategici e Presidente della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia.
- Ma Haftar non ha liberato la Cirenaica dall’Isis?
Si ha ripulito dai combattenti dello Stato islamico Tobruk, Derna e Sirte in modo determinato e molto duro, senza tanti riguardi per i civili.
- Obiettivi del Generale ?
Haftar non vuole essere confuso con la babele di milizie che combattono spessissimo per la propria sopravvivenza e lo stipendio. Sostanzialmente vuole essere chiamato, o designato da un nuovo governo amico oppure elettoralmente.
- Rischi della guerra civile permanente?
Essenzialmente quello del terrorismo islamico. Il terrorismo, che in Libia è stato contrastato con determinazione quasi esclusivamente dal Generale Haftar, è la punta dell’iceberg del più vasto problema del terrorismo africano.
- Quadro complessivo della situazione?
Vi sono paesi in cui il fenomeno è endemico da decenni: Boko Haram in Nigeria, ISIS nella fascia del Sahel (Mali, Buskina Faso, Niger, Ciad), Al Qaeda in Algeria, Al Shabab in Somalia, e ancora in Camerun e Sudan. Oltre 10.000 sono state le vittime nel 2017 e, dalla sola Tunisia, negli ultimi anni è partito il maggior numero di foreign fighters della storia per raggiungere il califfato, quasi 5000 uomini.
La “normalizzazione” eseguita da Al Sisi e Khalifa Haftar in Egitto e in Cirenaica e la ritirata di Boko Haram hanno comportato un ridimensionamento significativo sia delle vittime che di attacchi e attentati. Ad esempio in Libia si sono ridotti a 47, contro gli oltre 400 attacchi del 2016. Anche gli aiuti internazionali alla Tunisia e la presenza di special forces sul territorio nord africano, gli americani in Fezzan e in Niger (nel compound di Agadez) e in Mali insieme ai Francesi, e il crescente uso dei droni hanno contribuito di molto all’arresto, almeno per ora, del terrorismo militante.
- E nella fascia del Maghreb?
Determinante , oltre all’azione di contrasto in Cirenaica ed Egitto è stato il “ritorno” degli Stati Uniti nell’impegno nell’area, anche per evitare che l’influenza di Mosca la presenza di consiglieri russi si estendesse anche a questa parte di Africa, dopo il successo in Siria e i crescenti legami proprio con Al Sisi e il Generale Haftar.
- Evoluzione del rapporto fra Italia e Libia?
E’ arrivato il momento di capire che per il nostro Paese che parlare di Libia solo in chiave di migrazione e non di un Paese completamente destabilizzato che per noi e per l’Europa resta la vera porta di accesso all’Africa, è una visione “sfocata” ed eurocentrica della transizione che sta attraversando il continente africano.
- Soluzioni?
Le soluzioni devono essere trovate rivisitando modelli come quello a 3 della confederazione bosniaca (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan) o quello libanese (Presidente Cristiano, Primo Ministro Sunnita, Presidente del Parlamento sciita), questa volta definendo una suddivisione cittadina/regionale, invece che su base etnica o religiosa. Nessuna milizia sarà in grado di prendere il sopravvento sulle altre, tanto meno quelle che sostengono Serraj. Da questo punto di vista i sottili equilibri da noi tenuti in piedi sono quindi destinati a evolgersi.
- Prospettive ?
Non resta che la soluzione giustamente prospettata della Conferenza Internazionale in Sicilia, nella quale resta fondamentale il rapporto fra Stati Uniti e Italia. Necessaria anche la prosecuzione dell’ apertura ad Haftar, e l’aggiornamento come detto dei modelli già sperimentati per chiudere altrettanto sanguinosi conflitti ai nostri confini.