Dante Alighieri era un cristiano che ha composto la Commediada cristiano per lettori cristiani. Eppure la geniale profondità dello sguardo ha fatto sì che egli abbia parlato, in questi sette secoli, a persone di ogni religione, cultura, etnia, orientamento politico: ad esempio a Karl Marx che lo cita – in italiano ! – perfino nel Capitale. Ha da dire qualcosa anche alle donne e agli uomini del nostro tempo? Maurizio Muraglia ne è convinto e, per dimostrarlo, ha pubblicato Cento finestre sull’umano. Parole dantesche tra passato e presente (Di Girolamo, Trapani 2024, pp. 138, euro 15,00): un’originale raccolta di terzine – una per ogni pagina, secondo il percorso dall’Inferno al Purgatorio sino al Paradiso – in ciascuna delle quali spicca una parola-chiave (“paura”, “desiderio”, “festa”, “donna”, “riso”, “luce”…). L’autore si assume, inoltre, il compito di ‘tradurre’ in italiano corrente i versi di Dante e di suggerirne un’interpretazione attualizzante.
Tra i molti esempi possibili, ne segnalo tre che mi son sembrati particolarmente eloquenti.
Ad esempio, nel canto XII dell’Inferno, ai versi 49 – 51, leggiamo: “Oh cieca cupidigia e ira folle,/ che ci sproni ne la vita corta,/ e nell’etterna poi sì mal c’immolle!”. Muraglia parafrasa: “Oh cieca brama e ira folle, che tanto ci pungoli nella breve vita, e poi nella vita eterna ci tieni a mollo in modo così penoso!”. Infine aggiunge una quindicina di righe di commento che si concludono con il riferimento al contesto contemporaneo: “Ci si può adirare o indignare, dipende da come si guarda il mondo. Qui l’ira discende dallo sguardo che divora, perché l’altro è un ostacolo alla propria voracità per il solo fatto di esistere. Lo disse Sartre: l’inferno sono gli altri” (p. 27). Non è difficile, verrebbe da osservare, distinguere l’ira (che scatta per difendere il proprio io e le proprie cose) dall’indignazione (che esplode per difendere il Bene comune e la dignità di tutti).
Nel canto XIX del Paradiso, i versi 106 – 108 recitano: “Ma vedi: molti gridan ‘Cristo, Cristo!’,/ che saranno in giudicio assai men prope/ a lui, che tal che non conosce Cristo”. Agevole la trasposizione nell’italiano dei nostri giorni: “Ma vedi: ci sono molti che gridano ‘Cristo, Cristo!’, e che nel giudizio saranno molto meno vicini a lui di altri che non conoscono Cristo”. Così, infine, le righe finali del breve commento: “Oggi il credente ed il non credente concordano nel giudizio positivo verso chi vive con vera e piena umanità, quale che sia il suo orientamento religioso. Qui, per bocca dell’aquila, il credente Dante azzarda con radicalità evangelica ancora di più: molti, che si riempiono la bocca di Cristo, in giudizio saranno molto meno vicini a Dio di chi Cristo neppure lo conosce” (p. 108). La mente va, spontaneamente, a quei politici di ieri e di oggi che esibiscono i simboli dell’appartenenza cattolica (pur vivendo in palese contraddizione con le norme ecclesiali) pur di rastrellare i consensi elettorali dei bigotti.
In un momento storico in cui il pianeta è dilaniato da decine di conflitti bellici, alcuni dei quali (pensiamo a Russia e Ucraina o al governo di Israele contro il regime di Hamas) particolarmente eclatanti, non si può restare colpiti dalla terzina 151- 153 del XXII canto del Paradiso: “L’aiuola che ci fa tanto feroci,/ volgendom’io con li etterni Gemelli,/ tutta m’apparve da’ colli a le foci” (“L’aiuola che ci rende così feroci, volgendomi con l’eterna costellazione dei Gemelli, mi apparve tutta intera dai monti alle estreme rive”): “Dante rivede tutti i cieli da una prospettiva di distanziamento, simboleggiata dalle stelle, in particolare dalla costellazione dei Gemelli, suo segno zodiacale e talento nativo. Riappropriandosi di se stesso nel purgatorio, e immerso nella totalità del cosmo, Dante vede la terra come un’aiuola, l’aiuola della ferocia e della disumanizzazione” (p. 111).
E’ forte la tentazione di moltiplicare le esemplificazioni, ma queste poche sono sufficienti – ritengo – per dare un’idea di quanto prezioso possa essere uno strumento come questo approntatoci da Muraglia, tanto accorto filologicamente quanto accessibile anche da parte di chi non si è mai accostato al mondo della Divina Commedia o l’ha “frequentato nelle aule scolastiche ma in modo nozionistico e non significativo” (p. 9).