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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Antonino Cangemi
Raccontare la propria vita e la sua evoluzione negli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima giovinezza non è per nulla facile.
Tante sono le insidie e le trappole in cui si rischia di essere catturati: cedere a un soggettivismo dai forti richiami nostalgici, ritenere entusiasmanti, solo perché hanno contraddistinto la propria esistenza, fatti di per sé incapaci di emozionare i lettori.
Senza contare che avventurarsi nei meandri delle proprie biografie significa inoltrarsi in tragitti che tantissimi altri scrittori hanno percorso e che pertanto il pericolo del difetto di originalità è molto alto.
Aldo Sarullo, drammaturgo palermitano noto anche come opinionista, col suo “Latitudine palermitana” – edito da Quanat – quasi un diario che ripercorre la sua vita dai quattro ai vent’anni, supera tutti gli ostacoli e ci offre un romanzo intenso e delicato, appassionato e sobrio.

A che cosa ha fatto ricorso Sarullo per non incorrere nei “deragliamenti” frequenti in un simile genere narrativo?
Innanzitutto a una scrittura semplice ed efficace, fatta di periodi brevi e incalzanti e ravvivata dall’ironia.
Poi all’inesauribile energia della Storia: i fatti oggetto della sua narrazione, ancorché riferiti alla propria vita, s’intrecciano con quelli che coinvolgono tutti gli uomini, che segnano il tempo, lo incorniciano, fatti che da cronaca diventano Storia.

Alla progressiva scoperta della vita da parte del protagonista, in “Latitudine palermitana”, fanno perciò da sfondo le prime avventure nello spazio, la guerra fredda, l’uccisione di Kennedy, i processi di cambiamento nella chiesa per opera del papa buono – in una parola, tutti gli avvenimenti che connotano il ventennio preso di mira nel romanzo, racchiuso tra gli anni ’50 e gli anni’60.
Infine alla leggerezza, a quel tratto di penna delicato che frena gli impulsi emozionali e, talvolta anche col tocco lieve dell’umorismo, stempera moti e sussulti interiori di più grave impatto, come sottolinea Matteo Collura nell’elegante prefazione: “Ha mano leggera, l’autore, anche quando ciò che ricorda e narra è tutt’altro che delicato”.

“Latitudine palermitana”, come suggerisce il titolo, è una biografia palermitana di un palermitano. E però se il romanzo biografico è ambientato a Palermo e i ricordi che ne costituiscono la trama rinviano a costumi, e talvolta anche a lessici, tipicamente palermitani, il capoluogo dell’isola è sì presente, ma non in modo totalizzante e prevaricante: nell’infanzia, nell’adolescenza, nella giovinezza del protagonista del romanzo, nella sua “formazione” possono riconoscersi tantissimi uomini che palermitani o siciliani non sono, fermo restando che l’essere cresciuti a Palermo comporta un supplemento di “fatiche” legato a un modus vivendi condizionato dalla mafia e dai suoi soprusi e da radicati malcostumi, non nascosti dall’autore ma neanche enfatizzati.
Le pagine di Sarullo rifuggono i facili sentimentalismi, né si lasciano irretire dalla malinconia del tempo andato; in esse prevalgono l’equilibrio dei toni discreti quasi sempre sorretto dal brio; e tuttavia ci consegnano, con trattenuta commozione, la figura del padre in tutta la sua umanità: quel padre – Luigi Sarullo, storico dell’arte promotore e curatore di un monumentale “Dizionario degli artisti siciliani” – a cui l’autore è rimasto profondamente legato.

Tutto ciò ci fa capire perché “Latitudine palermitana” si legge tutto d’un fiato e perché mentre si legge si sente pulsare la vita, quella di un passato che rimane presente per la carica mai del tutto doma delle emozioni che lo contrassegnano.
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Saggista e critico letterario