Fenomenologia di un virus. Dalla classica definizione «Democracy Dies in Darkness» siamo ormai entrati nella dimensione, ancora tutta da esplorare, dell’interrogativo «Democracy Dies in Virus ?».
Ovvero la dimensione internazionale della democrazia come quella fino adesso vissuta che rischia di morire nell’oscurità del covid-19.
Sono infatti molte e per lo più inquietanti le riflessioni, e soprattutto le analisi, sulle origini e gli effetti del coronavirus.
Il mondo è precipitato nella peggiore mutazione genetica della natura o nell’inconfessabile oscurità degli orrori di una guerra fredda epidemiologica?
Pur escludendo in partenza ogni ipotesi complottistica e dietrologica, le analisi non possono tuttavia prescindere dal principio del cui prodest che è alla base di ogni valutazione: l’individuazione di un possibile interesse circoscrive la ricerca delle responsabilità.
Sul piano della strategia globale gli effetti del covid-19 rappresentano l’evoluzione ottimale e a costo zero dell’impatto di un attacco nucleare o con ordigni al neutrone perché non distruggono l’ambiente, preservano il mondo animale e lasciano intatte le infrastrutture e soprattutto siti strategici e armamenti.
Certamente in maniera molto singolare, ma fino a prova contraria per cause naturali, determinate dalla commistione genetica fra virus animali e umani, il coronavirus uccide selettivamente quanti sono affetti da patologie pregresse e sono costituzionalmente fragili. In particolare gli anziani e i malati di tutte le età.
Sul piano anagrafico globale, la strage provocata dal covid-19 sta eliminando le generazioni degli anni ’30, ‘40 e ‘50 ed i malnutriti. Ovvero l’umanità non connessa e non digitalizzata, i poveri e gli affamati di tutti i continenti, dall’Africa all’America latina, dall’Europa al Medio Oriente all’Asia e in particolare all’India e alla Cina.
A proposito di Pechino, il cinismo delle statistiche induce a ritenere che, se per disgrazia dell’umanità, dovessero essere state partorite dagli algoritmi dei dottor Stranamore militari, le probabilità delle conseguenze di una tale raccapricciante nuova metodologia di “pulizia etnica” generazionale economica sociale, riguarderebbero soltanto una piccolissima parte del miliardo e quasi 500 milioni di cinesi.
A voler pensare male, secondo questa terribile ipotesi, in Cina la decimazione provocata dal coronavirus rappresenterebbe anche un bel guadagno perché, oltre ai dissidenti del regime, riguarderebbe soprattutto gli anziani e gli ultimi. Ovvero la popolazione non più produttiva, non in grado di assecondare lo sviluppo tecnologico e che anzi richiede sempre più assistenza sanitaria e risorse.
Mentre sul piano militare la pandemia consente di rendere inoffensivi i sistemi di difesa e di contrattacco, gli effetti sull’economia e sui sistemi produttivi dei paesi più industrializzati sono devastanti e lasciano campo libero alla progressiva penetrazione e alla creazione di una interdipendenza da parte dei paesi in grado di superare per primi l’emergenza sanitaria e magari, più o meno casualmente, di disporre di un vaccino già collaudato.
A completare il quadro delle angosce innescate dal cui prodest, si aggiunge anche la possibilità, non del tutto remota, di un diabolico escamotage a carambola determinato dalle incontrollabili follie di una guerra fredda epidemiologica. Una destabilizzazione pianificata in un paese e fatta deflagrare in un altro stato per addebitare a quest’ultimo la responsabilità.
Da qualunque parte lo si affronti, il range degli interrogativi è questo. Tutto il resto sono luoghi comuni e mezze verità.
A cominciare dal celebre concetto di Papa Pio XI, secondo il quale a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina.
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Fondatore e Direttore di zerozeronews.it
Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Rai Palermo e Tg1