Cuore & Batticuore Rubrica settimanale di posta Storie di vita e vicende vissute
by Antonella Maria Traina
Si chiamava Leone, era un piccolo gattino, morto dopo cinque giorni di agonia. Lo avevano trovato, scuoiato vivo e abbandonato, in una strada nel comune di Angri, in provincia di Salerno.
La vicenda di Leone, la crudeltà subita, la sua lotta disperata per sopravvivere, hanno tenuto banco sulle principali testate on line e non solo. Tutti, credo, speravano che il piccolino ce la facesse, purtroppo così non è stato.
Anche io, come tanti, ho tifato per il piccolo micetto che, invece, ha preferito andare oltre il ponte, come ormai si usa dire per la morte di un’animale domestico.
Sono da sempre un’amante degli animali. Mi piacciono, mi affascinano per come si muovono, agiscono e si esprimono. Tutti, di qualunque specie e genere. Da piccola, grazie ai buoni uffici di mio padre, mia madre era quella severa, ho collezionato una serie di criceti, pappagallini, canarini, porcellini d’India che ricordo ancora uno per uno. Ognuno aveva il proprio nome, a cui rispondeva se chiamato, ed erano tutti domestici.
Sono una boomer, in un’epoca, la metà degli anni ’60, in cui l’attenzione verso gli animali era scarsa. Allora li si considerava ancora capaci di istinti ma non di emozioni, tantomeno di risposte intenzionali alle nostre parole. Invece i miei mammiferi o uccellini cinguettavano e volavano sulla spalla se nominati oppure squittivano e si agitavano al suono della mia voce, al rientro da scuola.
Cosa c’entra questo con Leone e la sua tragica vicenda ? Niente, per le persone in generale. Molto per me che non riesco nemmeno a concepire di poter far male a una mosca perché, anche le noiose e poco pulite mosche, hanno, a mio parere, uno scopo nel mondo e quindi vanno lasciate vivere. Ma soprattutto per chi, come me, pensa che gli animali siano molto più che esseri senzienti ma che provino emozioni come affetto, amore e ingenuità, quella che è stata fatale al piccolino e lo ha fatto finire preda di qualche mente malata.
Oggi dopo serie televisive come Criminal minds ci sentiamo tutti profiler intuitivi e sappiamo che seviziare un animale é il primo indicatore di un comportamento psicopatico. E dopo C.S.I dissertiamo di scene del crimine e prove come periti con termini, una volta tecnici, ormai entrati nel linguaggio comune.
Ma la nostra conoscenza di certi argomenti si rivela velleitaria e inutile quando ci si trova di fronte all’atto malvagio, cattivo in sé e per sé. Fa rabbrividire quello che hanno fatto a Leone e fa orrore pensare come possa essere stata compiuta una tale crudeltà.
Ma in questa brutta storia qualcosa di buono c’è ed è stata la reazione delle persone, del paese intero che prima lo ha soccorso, assistito e che ora chiede, con la voce del primo cittadino, il sindaco, che sia fatta giustizia.
Il 17 dicembre gli abitanti di Cava dei Tirreni, dove il piccolo Leone è stato portato per essere curato e dove ha trascorso i suoi ultimi giorni, terranno una fiaccolata per ricordarlo, per dimostrare la loro indignazione e chiedere, appunto, giustizia.
In un’epoca, in un periodo storico come il nostro dove la violenza pare stia diventando un’ abitudine a cui, per ignavia o ipocrisia, molti fanno sempre meno attenzione, il fatto che tante persone, e una buona parte d’Italia, si indignino per quanto è successo mi sembra di per sé positivo.
E’ un gesto molto importante anche per un altro motivo secondo me, perché dimostra che non tutti sono disposti ad abituarsi a che violenza e crudeltà non vengano condannate e perseguite e che soprattutto vadano combattute sul nascere, quando potrebbero sembrare cosa da poco perché rivolte ad animali e non a esseri umani. Perché in ogni caso, ed è questo il punto essenziale, gli animali, tutti gli animali, domestici e non, fanno parte integrante dell’umanità.
Il pathos emotivo della Giornalista e scrittrice Antonella Maria Traina sottolinea con una particolare intensità il concetto che, in un pianeta attraversato da orrori e conflitti senza fine, oltre alle classifiche delle atrocità, dell’abominio e della mostruosità vi sia un unico termine di paragone, disumano, che distingue una ristretta schiera di quanti compongono l’umanità. Disumano, a prescindere dalle vittime, é colui che non ha o non conserva nulla di razionalmente umano ed é in grado di compiere qualunque efferatezza contro chiunque.