P A G I N E
Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
Della crisi del maschio – e dei maschi – si parla spesso, a proposito e a sproposito. L’ultimo libro di Stefano Ciccone (Maschi in crisi? Oltre la frustrazione e il rancore, Rosenberg & Sellier, Torino 2019, pp. 158, euro 13,50) ne tratta in maniera seria e documentata.
Il linguaggio talora tecnico, sempre scientificamente sostenuto, potrebbe scoraggiare qualche lettore non introdotto alla letteratura sulle tematiche di “genere”: provo, con i rischi del caso, a tradurne i contenuti essenziali per un pubblico ampio.
Prima notazione: “La crisi del maschile, l’erosione o l’evaporazione della mascolinità vengono assunti senza consapevolezza della storicità di queste categorie e del loro riproporsi nel tempo ogni volta come «emergenze». In queste narrazioni si confondono e si sovrappongono saperi esperti e senso comune e si confondono notazioni diverse: mascolinità, virilità, autorità paterna, potenza virile, fertilità. Così la crisi di autorevolezza maschile nel lavoro o nell’economia vengono chiamate in causa nelle analisi preoccupate sulla crisi di fertilità maschile; l’appello al valore della capacità paterna di esercizio del limite viene sovrapposto all’affermazione della virilità come riferimento simbolico da preservare” (pp. 151 – 152).
In questa bailamme si può individuare un punto di riferimento per iniziare a orientarsi: chi parla di “crisi” (o di termini equivalenti: “perdita”, “eclissi”, “degenerazione”…) lo fa in riferimento a un modello precedente da cui la condizione maschile sarebbe decaduta o, comunque, rispetto al quale la condizione maschile attuale si rivelerebbe slittata.
Ciò posto, si delineano per il mondo maschile due strade principali per uscire dall’impasse.
La prima, forse la più diffusa e certamente la più facile, è mossa dalla “frustrazione” e dal “rancore” evocati dal sottotitolo. O, per lo meno, dal rimpianto per la sostanziale corrispondenza fra modello (o paradigma o dispositivo) tradizionale ed effettiva condizione maschile nella società: è la via del ritorno al patriarcato perfetto, o per lo meno quasi-perfetto, in cui erano chiare simbolicamente e nette praticamente le gerarchie fra maschi e femmine, mariti e mogli, fratelli e sorelle…Da qui un atteggiamento più o meno aggressivamente anti-femminista e anti-femminile: che le donne tornino al loro luogo “naturale”, il focolare o al massimo il cortile di fronte casa; che si concentrino sulle mansioni che hanno sempre saputo svolgere diligentemente (buona cucina e allevamento dei figli di giorno, un po’ di sesso senza troppa insofferenza di notte); che lascino agli uomini, ai “veri” uomini (cioè ai maschi immuni dalle chiacchiere del “politicamente corretto”), i ruoli di comando, di direzione, di gestione della cosa pubblica.
Non mancano pagine di maschilisti prive di efficacia letteraria che mascherano abilmente – dietro un velo di vittimismo – le pulsioni di rivincita nei confronti di un sesso ritenuto troppo emancipato: “Il Maschio Pentito oggi consiglia, promuove e pratica quell’autodafé per maschi che è il processo al maschio. […] L’imputato è naturalmente colpevole, infatti si processa la sua natura di maschio.
Il processo consiste in una sequenza ormai proceduralizzata che prevede nell’ordine: accusarsi in quanto maschio pubblicamente di ogni infamia trascinando solidarmente nella colpa tutti gli altri maschi, con a seguire la dichiarazione di vergogna e abiura della propria identità, la promessa di cambiarla in base al nuovo modello del giorno meglio se suggerito da una donna psicologa, che normalmente propone una specie di collezione estate inverno dell’identità maschile, la dichiarazione di superiorità delle donne in tutti i campi e l’invocazione finale alla futura città delle donne, nuovo.
E ultimo nonché unico paradiso realizzabile in Terra” (così un brano tratto da internet e riportato dall’autore alle pp. 80 – 81). Meno divertenti tutti quei testi contro gli immigrati (e contro le donne europee che si dedicano alla loro accoglienza): “La polarità dicotomica tra maschile e femminile , tra natura e cultura, tra mente e corpo si mescolano tra loro producendo rappresentazioni stigmatizzanti in cui sesso, razza e classe si intrecciano: l’uomo nero portatore di una sessualità predatoria e più selvaggia perché meno civilizzata ma per questo anche più vitale e potente” (p. 41).
Sia pur minoritaria (statisticamente) e faticosa (dai punti di vista esistenziale e politico) è possibile un’altra strada che parte dall’interrogativo se davvero i segni di cedimento del sistema patriarcale-maschilista siano da considerarsi una disgrazia oppure un’opportunità inedita per gli uomini quanto per le donne. In questa seconda prospettiva ci si può accorgere che il modo tradizionale di concepire il maschio-padre costituisse una gabbia che limitava non soltanto (come è stato abbondantemente messo in luce dai femminismi) l’autonomia delle donne, ma anche – sia pur meno evidentemente – la piena e libera autorealizzazione degli uomini.
Poiché Ciccone persegue questa pista, si tratta per lui non di tornare indietro con nostalgia a un assetto fra i sessi (o fra i generi) che mostra le sue crepe e di forzare la storia attuale a rientrare negli argini da cui è esondata, ma di affrontare esplicitamente la decostruzione di quell’assetto istituzionale e culturale ormai datato, sostenendolo e accompagnandolo nel processo di trasformazione in avanti. Qui egli ha modo di richiamare le linee principali del Movimento “Maschile Plurale” (www.maschileplurale.it), di cui è tra i fondatori e gli attuali animatori, che ormai da trent’anni moltiplica in Italia i centri di aggregazioni per uomini desiderosi sia di conoscersi meglio sia di impegnarsi nel sociale per una nuova cultura della maschilità.
Riprende in maniera più sintetica delle considerazioni argomentate nel suo precedente – e non meno impegnativo – Essere maschi. Tra potere e libertà (Ronsemberg & Sellier, Torino 2009, pp. 252, euro 18,00) con il medesimo intento: tentare di nominare – affinché attraverso “le parole per dirlo” (Marie Cardenal) possa emergere alla coscienza pubblica – l’attuale “desiderio maschile di cambiamento” che implica, fra molto altro, “la ricerca di una nuova paternità, di un nuovo rapporto fra vita e lavoro, di una diversa esperienza del corpo” (p. 152).