Nella lunga marcia fra le dune del deserto della politica, tra i vari leader soltanto Georgia Meloni – secondo l’andamento costante e convergente di tutti i sondaggi – è al momento in grado di raggiungere l’oasi del successo elettorale. Tanto da essere tentata dall’exploit personale per sfuggire alla guerra scatenatale contro da alleati sicari.
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Fra le tempeste di sabbia, il caldo infernale, gli incendi e i cicloni di questo agosto, il filo conduttore della coscienza civile del Paese ci ricorda anche quanto ulteriore dolore e quante nuove ombre che vengono dal passato incombono sui tragici anniversari delle stragi e dei delitti senza verità e giustizia.
L’Italia allo specchio della storia e della politica è diametralmente diversa da quella di un secolo addietro, del marasma del 1921 sfociato nella nascita della dittatura fascista.
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Soprattutto perché, a differenza del “fascismo come autobiografia di una nazione”, come scrisse Piero Gobetti, e dell’amara affermazione di allora “quest’Italia non ci piace” di Giovanni Amendola, i protagonisti di oggi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Premier Mario Draghi testimoniano quotidianamente, istituzionalmente e parlamentarmente, che l’autobiografia del Paese è esclusivamente la Costituzione repubblicana e che questa Italia vincente e sinceramente stimata nel mondo piace moltissimo a tutti.
Eppure, nonostante sia orgoglioso per i successi sportivi agli Europei di Calcio e alle Olimpiadi di Tokio e venga considerato il nuovo baricentro dell’Europa e delle alleanze internazionali, il Paese si trova paradossalmente sbilanciato da una politica che ad un secolo di distanza si ritrova a fare i conti da un lato con le mutazioni genetiche del fanatismo nazionalista e populista e dall’altro col dilettantismo qualunquista e movimentista.
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La vecchia politica è morta, viva la nuova politica? Si, ma quale? La drammatica carenza di classi dirigenti, evidenziata dalle candidature amministrative da quasi tutti i partiti, evidenzia un vuoto che non è solo generazionale, ma purtroppo anche culturale e ideale.
Come dimostra il confronto sulla riforma della giustizia, (una riforma soltanto iniziale del processo penale in ritardo, anzi, fuori tempo massimo da 40 anni) l’incapacità di molti esponenti politici di cogliere il significato stesso delle parole che leggevano, gli interessi corporativi e i cinici calcoli elettorali, hanno spinto il paese sull’orlo del baratro.
Pressappoco come nel 1921, anche se evidentemente con ben altre prospettive democratiche. Tanto che in qualche commento é freudianamente aleggiato il riferimento ad un governo militare, mimetizzato sotto la classificazione di ipotesi di terzo tipo, quella dell’impossibilità.
Tramontata la prassi craxiana del generale agosto, determinata dalla chiusura estiva delle Camere, la scala Mercalli della politica, oltre ai rischi per le minacce di attacchi cibernetici alle infrastrutture strategiche nazionali, regionali e industriali, e alle polemiche strumentali sugli sbarchi di profughi nord africani e i green pass, prevede un progressivo susseguirsi di scosse e fratture in tutte le principali forze politiche.
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Per i 5 Stelle, il battesimo sul web della leadership di Giuseppe Conte sembra destinato ad alimentare invece che placare i contrasti fra le tre principali aree interne: i governisti che fanno capo al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, gli ex Chigisti capeggiati dall’ex Premier e neo Presidente del Movimento Conte, e gli orfani dei “vaffa” alla Tav, al Tap – l’oleodotto Gasdotto Trans Adriatico – all’Ilva di Taranto, l’esproprio delle autostrade, il ponte di Messina e da ultimo la prescrizione. Tutti provvedimenti solennemente osteggiati e poi subiti e votati in parlamento. Oltre a misurare l’entità della eventuale sconfitta a Roma e alle amministrative, il braccio di ferro fra i 5 stelle, previsto in autunno sull’abolizione travestito da ridimensionamento del reddito di cittadinanza e sulla riforma del fisco, anticiperà la conta interna in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica.
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Sul Quirinale si regoleranno anche i conti interni che le amministrative potrebbero innescare al Nazareno. L’andamento della candidatura di Gualtieri al Campidoglio deciderà le mosse del tandem Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, nonché dei Ministri Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. Protagonisti in grado di spostare l’asse della segreteria Pd, ma tutti ufficialmente abbottonatissimi, come lo stesso Enrico Letta, sulla scelta dell’eventuale successore di Mattarella o della probabile rielezione del Presidente uscente.
La Lega oscilla fra le quotidiane raffiche dialettiche di Matteo Salvini e le pezze ricuci-maggioranza di governo di Giancarlo Giorgetti, vero regista del partito di lotta e di governo di via Bellerio, considerato a Palazzo Chigi alla stregua di un vice premier ombra.
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