Petrolio libico a rischio per l’Italia Dimenticata per mesi, la polveriera libica rischia di trasformarsi in un boomerang per l’Italia. Sulle pagine dei giornali e i titoli dei Tg la Libia é tornata in primo piano per il sequestro a Ghat, al confine meridionale con l’Algeria, da parte di un gruppo di miliziani dei due tecnici, Danilo Calonego, del bellunese, e Bruno Cacace, di Cuneo. Ma é dall’inizio dell’estate che per il nostro Paese la situazione a Tripoli e dintorni si sta facendo sempre più difficile.
La guerra civile strisciante da una parte e l’offensiva contro le roccaforti dell’Isis dall’altra coinvolgono sempre più da vicino i pozzi petroliferi che l’Eni gestisce in Libia. Cioè circa il 70% della produzione libica. Risorse strategiche di enorme interesse per l’Italia. “La situazione è critica” denuncia il prof. Arduino Paniccia, esperto di intelligence e di strategie militari

Quali gli scenari che si stanno delineando in Libia?
“A poche centinaia di chilometri dalle nostre coste si sta delineando una situazione che non lascia molto tranquilli. Il governo nazionale riconosciuto dall’ONU di al-Serraj, storicamente opposto al governo di Tobruk, è ormai giunto ai ferri corti con il comandante delle forze militari della Cirenaica, il generale Haftar. Quest’ultimo, con un rapido colpo di mano delle sue truppe, ha assunto il controllo dei terminal dislocati nella cosiddetta “mezzaluna petrolifera”, al-Zuwetina, al-Sidr, Agedabia e Ras Lanuf. Assumendo il controllo queste strutture, il generale Haftar ha de facto assestato un duro colpo al processo di riunificazione nazionale della Libia, su cui la comunità internazionale stava lavorando già da tempo sin dalla caduta di Gheddafi.”Cosa significa sotto il profilo strategico assumere il controllo di questi terminal?
Significa sedersi al tavolo delle trattative in una situazione di forte predominanza. In Libia, chi controlla il petrolio controlla il paese e Haftar, forte dell’appoggio militare francese e in parte anche inglese, è riuscito a cacciare dalle strutture terminali le Guardie Petrolifere, una vera e propria milizia fedele al governo di al-Serraj che gestiva i terminal di sbocco dell’oro nero sul Mar Mediterraneo. Questa brillante operazione militare è anche valsa al “generale ribelle” una promozione sul campo al grado di Maresciallo della Libia, onorificenza attribuitagli in questi giorni proprio dal parlamento di Tobruk.
Conseguenze per l’Italia?
“Questa situazione pone in serio pericolo gli interessi nazionali italiani in Libia, data la presenza nell’entroterra della Cirenaica di alcune tra le più importanti strutture petrolifere di Eni in terra libica. Molto prudentemente, il nostro governo si è schierato dalla parte del diritto internazionale, che riconosce in sede diplomatica la legittimità del governo di Tripoli di al-Serraj. Ma a suo tempo, anche il governo di Tobruk del generale Haftar ebbe il medesimo riconoscimento internazionale, avendo giocato un ruolo fondamentale per arginare la diffusione della piaga jihadista in Libia. E’ per questo che oggi, visto il nuovo scenario a cui ci si trova a dover far fronte, la nostra azione politica in ambito internazionale, pur riconoscendo in al-Serraj l’unico vero leader politico legittimato a garantire un futuro di pace alla Libia, non può comunque prescindere da un canale di comunicazione diretto con l’entità amministrativa di Tobruk.”
Ovvero?
“L’Italia corre il rischio di vedere compromessi i propri interessi in Libia. In questa situazione, bene ha fatto il governo ad inviare un primo contingente di soldati a Misurata. Sul piano militare la scelta è quasi ininfluente, visto il carattere prevalentemente sanitario della missione, ma in campo internazionale questo è un segnale molto forte per chi pensa di poter danneggiare impunemente l’immagine e il lavoro di tanti italiani, che ogni giorno in Nord Africa si adoperano per il benessere della nazione. Sul piano politico, invece, io credo che la linea della prudenza intrapresa dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sia la soluzione ottimale: da una parte, l’impegno dell’Italia a supporto del legittimo governo nazionale di al-Serraj, colloca il nostro establishment al vertice della joint venture internazionale per la ricostruzione di una nostra ex colonia, quasi totalmente distrutta da anni di guerra civile; dall’altra, la situazione politica internazionale ci impone di adottare una strategia di dialogo con il parlamento di Tobruk, al fine di evitare lo scontro frontale diretto e di giungere al tanto agognato traguardo di una risoluzione definitiva durevole, che sia in grado di tutelare la Libia, il suo popolo e i nostri interessi nazionali nel paese.”
Quanto sono forti gli interessi di Eni nell’aera?
“L’ Eni ha un importante giacimento petrolifero denominato Elephant situato in pieno entroterra tripolitano, che trasferisce il petrolio estratto direttamente a Tripoli. Da lì, assieme ai prodotti dei giacimenti dislocati nelle quasi 200 miglia di offshore al largo della capitale (per cui Eni ha le concessioni), il petrolio giunge in Italia. Ma è in Cirenaica che la situazione si fa interessante. In pieno entroterra libico, l’Eni ha in concessione dei vasti giacimenti da cui estrae una quantità considerevole di “oro nero”,quasi il 70% della produzione in Libia, che poi trasporta lungo una fitta rete di oleodotti che attraversano il deserto e sbucano proprio nei terminal della “mezzaluna petrolifera”, ora sotto il controllo di Haftar. È chiaro che, oltre a garantire la sicurezza delle strutture di estrazione e trasporto, l’azienda deve anche poter avere accesso agli sbocchi sul Mediterraneo a prezzi perlomeno competitivi. Per questo, in attesa di sviluppi futuri, occorre comunque un’azione diplomatica di dialogo con Tobruk, al fine di non compromettere gli interessi nazionali in Libia.”

Che ruolo hanno Stati Uniti e i partner europei?
“Gli Stati Uniti pagano l’incertezza del momento, viste le elezioni presidenziali oramai alle porte. Comunque, anche Washington è della partita, viste le importanti concessioni che Total può vantare sia in Cirenaica che in Tripolitania. E non dobbiamo dimenticare che, dopo l’assalto all’Ambasciata di Bengasi e l’uccisione dell’Ambasciatore americano con la sua scorta, la Casa Bianca ha tutt’ora un conto aperto in Libia. Inoltre, il suo sostegno al governo di al-Serraj è molto importante per gli equilibri interni del paese. Viceversa, i maggiori sponsor di Haftar sono l’Egitto di al-Sisi e la Francia di Hollande. Gli egiziani forniscono a Tobruk supporto militare per mantenere il confine libico egiziano sicuro e libero dalla presenza di eventuali gruppi jihadisti. I frencesi, oltre a difendere gli interessi delle numerose aziende petrolifere transalpine presenti in terra libica, forniscono al governo di Tobruk una adeguata logistica in campo militare e, sembrerebbe, anche alcuni reparti militari appartenenti alla Legione Straniera, che operano in supporto al regime nella lotta al terrorismo.”
Prospettive immediate?
“Prevedo un’azione internazionale di supporto alla Libia sempre più importante da parte dell’Italia. Storicamente, la presenza italiana in quei territori è sempre stata molto radicata. Ancora oggi vi sono molte aziende italiane che, se la situazione politica lo permettesse, vorrebbero ritornare ad investire oltre il Mar Mediterraneo. Inoltre, un’azione da parte del governo italiano in Libia permetterebbe di porre un freno al dilagante e devastante fenomeno dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina: un governo libico forte potrebbe impedire le partenze dei barconi della morte e reprimere il fenomeno sul nascere. Per ottenere questi risultati, però, occorre inderogabilmente transitare da una linea politica diplomatica forte e decisa, volta a creare quelle condizioni politiche che consentano l’instaurarsi di un dialogo tra le opposte fazioni. Una volta sconfitto il terrorismo, la Libia ha un bisogno assoluto di pace e prosperità, e l’Italia può fare molto affinché ciò avvenga.”