A Teheran il regime islamico veste Pezeshkian. Il riformismo del nuovo Presidente dell’Iran viene considerato una foglia di fico della spietata teocrazia degli Ayatollah da tutti i commentatori.

Una trappola per topi, denunciano anzi gli analisti di strategie geo politiche, per i quali il 69 enne cardiochirurgo ed ex ministro della sanità Massoud Pezeshkian, sarà utilizzato per fare uscire allo scoperto e sopprimere, uno ad uno, i gruppi di intellettuali e gli oppositori che da anni tentano disperatamente di coordinare e guidare il fiume spontaneo e incontrollato delle rivolte giovanili e popolari che insanguinano periodicamente le strade e le carceri della Capitale e delle principali città iraniane. 
Una mossa astuta quella dei vertici del regime islamico che perpetuano la cupa e medievale visione religiosa imposta al paese 45 anni fa dall’autoproclamata guida suprema Ruhollah Khomeyni.
Dopo la morte in un misterioso incidente aereo dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi, che da magistrato aveva fatto impiccare diverse migliaia di oppositori e da Presidente aveva innescato una sorta di competizione fra gli ayatollah su chi fosse più intransigente ed estremista, la scelta di far vincere al ballottaggio il moderato e sedicente riformista Pezeshkian crea una cortina fumogena all’interno e all’esterno dell’Iran. 
In ambito internazionale perché nonostante lo scetticismo, Europa, Israele e Stati Uniti verificheranno le eventuali differenze della politica estera iraniana, e nel frattempo allenteranno le tensioni che soprattutto con Gerusalemme stavano superando il livello di guardia.
In ambito interno perché la presidenza Pezeshkian é in ogni caso ostaggio e strumento della attuale guida suprema del paese, l’Ayatollah Ali Khamenei al quale spetta di decidere quale poteri affidargli e che elegge direttamente o indirettamente i 12 componenti del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione con diritto di veto sulle leggi proposte dal Presidente.
