Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta. Sentimenti passioni amori e disamori. Storie di vita e vicende vissute
Love story parallela di Lara e Lorenzo
by Maria Teresa Bellucci
La storia vissuta da Lara. Nel 1986 Lara andava all’Università tutti i giorni. Era il suo primo anno: in facoltà restava di solito fino al pomeriggio, poi al tramonto si avviava verso la stazione, per prendere il trenino delle Laziali che l’avrebbe riportata a casa alle sei mezzo.
Su quel treno, coi vagoni piccoli e puzzolenti di fumo, ogni sera per lei si compiva un miracolo. Perché puntuale saliva un ragazzo, di qualche anno più grande, di una bellezza che a lei pareva sconvolgente. Era malinconico e misterioso, sempre con lo stesso soprabito chiaro, i capelli scuri alti sopra la fronte, gli occhi belli e inquieti.
Lui non leggeva, non parlava con nessuno: guardava fuori, per tutto il tempo del viaggio, poco più di mezz’ora. Lara faceva finta di guardare oltre ma in realtà si incantava a studiare la sua bella bocca, le sue mani sul tavolino, lo sguardo azzurro posato sui sobborghi, poi sulla campagna. Era sicura che i pensieri di lui fossero interessanti e attraenti come tutto il resto. E quando si rese conto che sul quel treno quel giovane c’era sempre, cominciò ad aspettare le sei e mezza per vederlo. Una volta sistemata a pochi passi da lui, fantasticava che si girasse verso di lei, che si avvicinasse e le parlasse. Immaginava il suo sguardo come un vestito prezioso, che non avrebbe mai più voluto togliere. Però, in realtà, l’idea di fare il primo passo e scambiare due parole la terrorizzava.
Fu quindi con una gioia indescrivibile che dopo diverse settimane, prima che scendesse alla sua fermata, lo vide girarsi verso di lei, guardarla un po’ di sguincio e farle un impacciato saluto con il capo. In una frazione di secondo avvampò, poi il cuore le si aprì, esplodendo in una felicità selvaggia: ma allora mi ha visto! pensava, mi ha notato! Poco dopo scese dal treno volando, le sembrava di camminare a due metri da terra e arrivò a casa come in trance perché non vedeva né sentiva nulla, se non il suo cuore leggero come una farfalla e pieno di stupore e gratitudine.
Il giorno dopo era emozionatissima al pensiero di prendere il treno. Quando fu l’ora si avviò quasi correndo verso la stazione, salì sull’ultimo vagone, come faceva sempre, ma lui non c’era. Così si alzò e attraversò le poche carrozze, una dopo l’altra: inutilmente. Lui non tornò il giorno dopo, e neanche quelli dopo ancora. Per molto tempo Lara continuò a sperare di incontrarlo, ma su quel treno alle Laziali lui non salì più. Alla fine, controvoglia, dovette rendersene conto: quel saluto appena accennato, quel movimento gentile del capo, erano stati un addio, non l’inizio di qualcosa. Entrò in un periodo di grande malinconia: e ci volle tempo prima che smettesse di pensare, con un dolore sordo all’altezza del cuore, a quel giovane senza nome.
La storia vissuta da Lorenzo. Camminava per Roma con il bavero dell’impermeabile rialzato, per difendersi da un vento pungente. Si avviava a grandi passi verso lo studio di Architettura nel quale aveva ottenuto uno stage di due mesi. Era contento, ma gli seccava l’interesse delle giovani praticanti: sapeva bene che le sue passioni – la politica, l’impegno sociale, l’amore per i libri – non erano popolari tra le ragazze, che prima lo cercavano, attratte dal suo aspetto, e poi finivano per stancarsi, affermando che era incapace di godersi la gioventù. In realtà lo annoiavano.
E tuttavia, pensava, una ragazza c’era, che forse avrebbe potuto piacergli. Silenziosa, sempre con un libro in mano, saliva ogni giorno alle sei e mezza sul suo stesso treno. A Lorenzo pareva che irradiasse intorno un’energia piacevole, come piccole onde di quiete. Si era accorto che lei ogni tanto lo studiava, e gli piaceva sentirsi addosso quello sguardo dolce e tranquillo, che gli pareva una carezza; ne avesse avuto il coraggio, avrebbe voluto alzarsi e sedersi vicino a lei, prenderle la mano e non dire nulla, solo restarle accanto e respirare quell’aria di pace che sembrava vibrarle intorno. Ma il tempo passava, il suo stage stava per finire e lui non riusciva a farsi avanti. Ogni volta, a casa, si sarebbe preso a schiaffi per questo: ma poi, sul treno, non poteva avvicinarsi a lei. Arrivò così anche l’ultimo giorno: sapendo di vederla probabilmente per l’ultima volta riuscì finalmente, con un sforzo che gli parve sovrumano, a farle un cenno di saluto con il capo. Troppo vago, si disse poi, sebbene lei lo avesse notato.
Quella sera lo prese una grande tristezza, indefinita e cupa, e si addormentò molto tardi. Per un lungo periodo continuò a dirsi che avrebbe dovuto tornare sul treno delle sei e trenta, ma all’idea di parlarle perdeva ogni coraggio. Poi, piano piano, la vita lo portò altrove.
1998 l’epilogo di dodici anni dopo
Lara osservava tranquilla l’atrio dell’Auditorium. Aveva moderato un dibattito sull’architettura contemporanea. Ora attendeva che arrivasse Andrea, suo marito, per tornare a casa. Mentre si guardava intorno, notò un uomo appoggiato a un pilastro che la osservava, a qualche passo di distanza. Aveva forse qualche anno più di lei; la guardava serio, senza sorridere, e Lara rimase colpita dalla sua bellezza. Chiedendosi perché lui la studiasse in modo così palese, non abbassò gli occhi, ma li piantò nei suoi: che erano grandi, azzurri e, le parve, un po’ malinconici . Rimasero a guardarsi qualche istante, immobili. Lara era affascinata da quell’uomo. Le sembrava di conoscerlo, ma non avrebbe saputo dire chi era.
Poi, all’improvviso, le tornò in mente il primo anno di università, il treno delle sei e trenta e soprattutto, il ragazzo di cui non aveva mai saputo il nome. La sua immagine ce l’aveva stampata nella memoria – e ora era, senza alcun dubbio, davanti a lei. Voglio parlargli, pensò Lara, e stava per muoversi quando arrivò una giovane donna e lo prese sottobraccio, con l’aria di voler lasciare la sala. Lui lanciò a Lara un ultimo, lungo, indefinibile sguardo, poi si allontanò verso l’uscita. Tutto era durato solo pochi istanti.
Poco dopo arrivò Andrea. “Sembri un po’ stanca” le disse con tenerezza, precedendola per andare a prendere la macchina. Aveva cominciato a piovere.
Lara passò a ritirare il soprabito dalla ragazza del guardaroba e uscì all’aperto. Si sentiva un po’ triste: le sembrava assurdo aver ritrovato quel ragazzo per perderlo subito dopo; ma d’altronde, pensava, cosa mai avremmo potuto dirci?
Aveva freddo. Era tardi e l’inverno cominciava a farsi sentire. Infilò le mani in tasca. In quella sinistra c’era qualcosa. Tirò fuori un biglietto: piccolo, al centro una sola parola vergata con una scrittura elegante e personale. Un nome: Lorenzo.

Lara ci mise qualche secondo a capire. Ha seguito il dibattito, realizzò, mi aveva riconosciuto prima che lo facessi io … e non mi ha dimenticato. A questo pensiero avvertì una sorta di fremito, una sottile esultanza. Sapeva che non l’avrebbe più rivisto, ma sorrideva, mentre saliva in auto. Si girò verso Andrea e gli prese la mano.
MT_Bellucci@yahoo.it

Una storia allo specchio struggente e forse autobiografica. Che speriamo la giornalista Maria Teresa Bellucci abbia scritto nel tentativo di ritrovare il ragazzo del treno. Un treno esistenziale apparentemente perdutosi lungo i binari del tempo.