Resettare e riavviare. Con l’Italia sempre più in bilico fra l’abnorme debito pubblico e l’ormai cronica ingovernabilità, il reset d’autunno più che una variabile politica è un’urgenza.

Molte le direttrici del reset d’autunno, tutte convergenti sull’assetto di un nuovo Governo e le tre riforme essenziali (sburocratizzazione sul modello Genova, new deal e manutenzione per le infrastrutture, defiscalizzazione e innovazione per le imprese) da incardinare il prima possibile, preferibilmente entro Natale.

Il tempo sta per scadere. All’esito delle regionali, più o meno destabilizzanti visto che in Puglia, in Toscana e forse pure in Campania, senza la stampella dei 5 Stelle il Pd rischia di perdere, sono già preventivate la somma del caos della scuola e del tutti contro tutto dell’autunno incandescente dell’economia stravolta dalla pandemia, dalle aziende in coma e dalla massa crescente dei disoccupati.
I venti di crisi hanno cominciato a soffiare fin dall’intervento di Mario Draghi al meeting di Rimini, il 18 agosto. Un intervento con profili istituzionali ed economici senza paragoni, che mentre a Roma facevano finta di non capire, ha suscitato molta attenzione in Europa e negli ambienti finanziari internazionali.
La gestione delle ingenti risorse europee per la ricostruzione dell’Italia, è l’analisi prevalente a livello internazionale, è talmente decisiva per le sorti dell’Europa e dell’economia globale che non si può davvero correre il rischio che vi mettano le mani gli apprendisti stregoni che negli ultimi due anni al Governo hanno disastrato il Paese.

L’ onda d’urto concentrica di quella che i mercati definiscono la covid economic crisis e del terremoto politico delle regionali, potrebbe determinare come unica soluzione per la salvaguardia del Paese, la svolta di un governo per la ricostruzione col concorso di tutte le forze politiche disponibili e la regia di esperti super partes, come Mario Draghi, ma non necessariamente Draghi.
Da Giuliano Amato a Marta Cartabia, da Ignazio Visco a Daniele Franco, da Vittorio Colao a Carlo Calenda, da Francesco Giavazzi a Sabino Cassese, da Giuseppe Pignatone a Luciana Lamorgese, l’intellighenzia istituzionale ed economica del Paese annovera una schiera di civil servant riconosciuti e apprezzati dall’Europa e dalle capitali estere. Una élite in grado di garantire competenza, efficienza ed imparzialità di governo per procedere rapidamente alla ricostruzione.
Per l’Italia, perennemente vittima del mostro della corruzione e dei tentacoli inestricabili della burocrazia, l’ordinaria alternativa dei governi dell’eterno rinvio e che si illudono di prendere per i fondelli americani, cinesi e russi, rappresenterebbe davvero il baratro. Rien ne va plus, le reset son fait.
