Dissolvenze in progress a Palazzo Chigi dove aleggia il fantasma di un Governo che non governa e che non si dimette, anche se da mesi è in crisi di fatto, in attesa di vedere chi dei vice Premier spinge l’altro alle dimissioni.
Per la politica uno spettacolo indecente se non fosse, ahinoi !, anche istitituzionalmente destabilizzante ed economicamente nefasto per il Paese.
Nella guerra fra coniugi del matrimonio d’interesse fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il leader leghista ha tuttavia già ridicolizzato i bluff dei 5 Stelle e attende paziente, senza cedere alle provocazioni, di raccogliere i frutti elettorali alle europee, prima, e alle politiche dopo, dell’acquisito vantaggio di posizione.
Se in un modo o nell’altro, anche sfidando il ridicolo, il Governo resta formalmente in piedi, Salvini continuerà infatti a fare il bello e il cattivo tempo, a spiazzare i grillini, costringendoli ad una rincorsa suicida.
Se invece Di Maio getta la spugna e si dimette platealmente, il vice Premier leghista farà la campagna elettorale del 26 maggio sull’onda dei fallimenti e della crisi dei 5 Stelle e, perchè no, anche del processo che la base grillina aprirà ufficialmente nei confronti dei vertici pentastellati, a cominciare da Di Maio.
Secondo i sondaggisti, il conseguente marasma avvantaggerebbe ulteriormente la Lega accreditatasi presso l’opinione pubblica come unica forza decisionista e coerente in grado di intercettare il trend populista.
Fra una crisi di nervi e l’altra ed imbarazzanti interrogativi sul cosa fare in caso di uscita dal Governo, in casa 5 Stelle molti hanno la sensazione di essere seduti sul bordo di una diga che sta per cedere.
Sottovoce, per non provocare ulteriori crisi isteriche, singoli parlamentari e esponenti di base sostengono che l’unica strategia attuabile nell’immediato rimane quella della riduzione del danno: un dignitoso passaggio all’opposizione, oppure costi quel che costi un rimpasto per formare un Governo con la garanzia che duri fino alla fine della legislatura.
Come dire che i grillini si trovano di fronte al bivio fra un orgoglioso harakiri e l’eutanasia politica.