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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
Ogni epidemia suscita sciacalli. Da quelli che rubano a casa dei morti e degli sfollati agli altri – gli imperdonabili – che saccheggiano le coscienze dei concittadini.
Quei sedicenti profeti (preti cattolici come pastori protestanti), ad esempio, che tentano di cavalcare la tragedia mondiale attuale per fare propaganda a una loro orribile divinità che starebbe punendo i mortali per i loro molteplici peccati.
Scienza, filosofia, teologia critica e buon senso non possono che stigmatizzare, solidalmente, questi biechi tentativi di strumentalizzazione bigotta.
Ma basta contestare le spiegazioni rozze, primitive, blasfeme ? O non è possibile – anzi, doveroso – recepire quel brandello di verità che esse, sia pur assai maldestramente, veicolano?
Per spiegare cosa intendo dire, parto dal ritaglio di un “Domenicale” di dicembre 2009 del “Sole 24 Ore” capitatomi per caso fra le mani mentre, in questi giorni di reclusione forzata in casa, mettevo ordine fra le carte dell’archivio.
A conclusione di un pezzo intitolato “Pandemie. Largo alla medicina ma più integrata” l’epidemiologa Ilaria Capua scriveva: “Il concetto di One Health si prefissa l’obiettivo di considerare la salute pubblica come il frutto delle interazioni fra ospiti (uomini, animali e piante), patogeni (virus, batteri e protozoi) e l’ambiente in senso lato. Non è quindi più possibile considerare un episodio di malattia come evento disgiunto da ciò che accade nel serbatoio animale (compresi gli invertebrati) e nell’ambiente. Soltanto in questo modo si potrà agire attivando dei sistemi di prevenzione integrati e affrontare il problema alla fonte anziché quando è ormai un problema di salute pubblica conclamato. E’ necessario quindi che le discipline mediche (medicina umana, medicina veterinaria e farmacia) comprendano l’importanza dell’integrazione fra di loro e nel contempo con le discipline che studiano l’ambiente poiché sono ormai interdipendenti e interconnesse in maniera irreversibile”.

La scienziata, ovviamente, non evoca nessuna punizione divina. Ma – sia pur sommessamente – tira in ballo la responsabilità umana, collegando in un rapporto di causalità ignoranza e ignavia di noi mortali (in altri termini: i nostri ‘peccati’ o, laicamente, i nostri errori e le nostre colpe) con le epidemie e le pandemie. Rileggendo quelle righe a più di dieci anni di distanza, non possiamo fare a meno di chiederci, senza scomodare nessuna Trascendenza, se non siamo noi stessi i giudici e i carnefici della nostra vita. Le malattie sono ‘castighi’, ma decisi e comminati da noi stessi.
Che cosa abbiamo fatto da allora ad oggi, come cittadini e come ceti politici, per ridurre le immani sofferenze degli animali d’allevamento e da macello ?
Che cosa per ridurre l’inquinamento della terra, delle acque, dell’aria?
Già all’inizio della Modernità il filosofo Francis Bacon ci aveva (invano) avvertito: “Alla natura si comanda solo obbedendole”.
Noi vogliamo continuare a comandare autocraticamente, dittatorialmente, totalitariamente?
Accomodiamoci pure. Purché disposti a pagare il prezzo di questa tracotanza. Dispiace, però, che la Natura non sia attrezzata a individuare con precisione chirurgica i soggetti più responsabili di queste catastrofi annunziate: così, a cadere, sono, quasi sempre, i meno ricchi e i meno potenti.
