Cuore & Batticuore Rubrica settimanale di posta. Storie di vita e vicende vissute
by Maria Guccione
Alla domanda se per Favignana sia più facile resuscitare una dinastia scomparsa, quella dei Florio, o rilanciare la pesca del tonno non è facile rispondere. Vediamo di analizzare la questione dividendola in due parti
I Florio. Su di loro ultimamente si è avuta una vera e propria inflazione di pubblicazioni che li hanno resi popolari presso il grande pubblico sia pure in forma più romanzata che storica. Con i Florio, secondo me, è successo quello che è accaduto per i Beati Paoli, la famosa confraternita palermitana del XII secolo che Luigi Natoli ha riesumato e reso famosa nei primi anni del 1900 riprendendoli dagli “opuscoli palermitani “ scritti dal marchese di Villabianca due secoli prima. Chi non leggeva i Beati Paoli nella prima metà del secolo scorso?
L’ultimo dei Florio, Ignazio Iunior, è morto nel 1957, dopo di che sulla sua famiglia è sceso il silenzio. Il primo libro sui Florio è del 1967, ad opera del Prof. Mario Taccari. Bisognerà arrivare alla fine degli anni settanta per avere, grazie ad una intelligente iniziativa di Sellerio, un gruppo di scrittori che studieranno il fenomeno Florio soprattutto sotto il profilo economico in modo accurato e con una attenta ricerca delle fonti. Fonti assolutamente scarse perché la maggior parte del materiale d’archivio è andato perduto durante i bombardamenti di Palermo o anche durante il sacco della speculazione edilizia palermitana che abbattè le belle ville liberty di viale della Libertà e via Notarbartolo. Il Palazzo dei Quattro Pizzi all’Arenella, si è salvato ed è andato in eredità ai Paladino, perché Lucie Henry, compagna di Vincenzo, lo riscattò vendendo i suoi gioielli. Mentre il villino Florio progettato dal Basile dentro il parco dell’Olivuzza in viale R. Margherita è stato distrutto da un incendio doloso insieme alle carte che erano rimaste. Dal momento dell’avvio delle ricerche da parte della casa editrice Sellerio cominciano ad uscire importanti pubblicazioni ad opera di Orazio Cancila (I Florio), Rosario Lentini (Florio, storia di una dinastia), Romualdo Giuffrida /Lentini (L’eta’ dei Florio) Sergio Troisi e infine Gioacchino Lanza limitatamente all’aspetto salottiero e un bel libro su donna Franca a firma di Anna Pomar.
E’ a questi autori che dobbiamo guardare se vogliamo capire l’intero ciclo della storia dei Florio e il peso che essi hanno avuto nella storia della Sicilia senza dimenticare che l’apoteosi della famiglia era stata smontata pezzo per pezzo a partire dagli anni trenta quando il patrimonio era stato smembrato : la ceramica a R.Ginori, le cantine a Cinzano, la compagnia di navigazione alla Tirrenia e per ultimo la tonnara e lo Stabilimento per l’inscatolamento dei tonni a Favignana ai Parodi.
L’interesse sempre più crescente verso i Florio cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è inversamente proporzionale a quello verso una delle loro più significative voci economiche che porta il loro marchio: la pesca del tonno. Più tonni e tonnare perdevano forza e più il mito dei Florio acquistava vigore. Ma per luoghi come Favignana tonni e tonnare sono termini sacri, ancor più dei Florio
Il 2007 è stato per Favignana un anno triste: ultimo anno in cui la tonnara è stata in attività. Dopo di allora un doloroso silenzio ha avvolto uno degli eventi che faceva parte del nostro quotidiano favignanese. Non mi può capire chi non percepisce che la tonnara per i favignanesi non era solo economia, tradizione, cultura manuale, gastronomia, ma era soprattutto un sentimento che vive dentro di noi da sempre. E’ ricordo di un’isola pulsante di vita che fino agli anni sessanta aveva seimila abitanti di cui ben seicento lavoravano presso lo stabilimento Florio; è ricordo di personaggi che hanno lasciato il segno: tonnaroti come Benito o Clemente immortalati da fotografi famosi come Salgado su Atlante del 1992, Rais Mercurio, Gioacchino Cataldo. Ma la tonnara per una serie di sfortunati eventi ha chiuso i battenti nel 2007. E oggi che si vorrebbe tornare a pescare c’è il problema delle quote tonno. Nei confronti del tonno si va dalla rigida posizione di Slow Food, che in occasione di un evento di un paio di anni fa ha vietato all’interno del proprio stand la promozione e vendita di tonno, all’ICCAT , la Commissione internazionale per la conservazione dei tonni, che invece ha aumentato le quote tonno disponibili per i paesi europei considerando superati i problemi di sovrapesca, grazie alla gestione attenta degli ultimi anni.
Né possiamo ignorare il grande sfruttamento mediatico che ruota attorno al tonno: in tanti parlano di tonno rosso e lo servono a tavola in mesi in cui di tonno rosso dalle nostre parti non c’è nemmeno l’ombra. Se veramente vogliamo parlare di tonno bisogna agire su due versanti: da una parte salvare la cultura del tonno: ossia riti, canti, tradizioni, leggende, vite di personaggi, ricette, attività manuali, insomma tutto ciò che si è venuto sedimentando attorno a questo pesce tanto ricercato dagli uomini da tempi immemorabili e tanto importante da essere diventato addirittura nei secoli XV e XVI un prodotto alimentare strategico per cui era considerato reato punibile con la morte l’esportazione di tunnina verso paesi ostili (esattamente come lo zolfo e il ferro usati per fabbricare armi); dall’altra bisogna trovare una soluzione al problema delle quote.
E’ logico che nessun imprenditore mette a rischio i propri bilanci o il posto di lavoro dei propri operai senza precise garanzie. Queste garanzie si chiamano quote. Sta all’intelligenza di chi ne dispone la spartizione restituire a Favignana ciò che legittimamente le spetta se non altro per il ruolo storico preminente che essa ha avuto negli ultimi tre secoli nel Mediterraneo. Io credo in un progetto di ripresa a cui una ditta, come la la Castiglione, può dar vita se correttamente supportata dallo Stato ma non per tirar fuori l’ennesimo prodotto industriale da vendere alle Coop bensì per tornare ad avere prodotti di nicchia frutto di un lavoro artigianale che rischia l’oblio. Per decenni il tonno a Favignana ha rappresentato economia, posti di lavoro, prodotti di primissima qualità, storia, religiosità, riti e usanze, e non ultima una gastronomia di pregio con prodotto a km zero. Tutti per secoli hanno mangiato tonno rosso fresco cucinato in vari modi o prodotti artigianali salati. Prodotti come la bottarga richiedono un lavoro di preparazione accurato: mani esperte e tonno di prima qualità. Non c’è macchina al mondo che possa sostituire le mani di un operaio che “massaggia” un uovo di tonno per assicurarsi che all’interno di esso non rimangano grumi o bolle d’aria. Né c’è confronto tra una bottarga proveniente da tonno rosso fresco e una da tonno pinna gialla congelato. Se la ditta Castiglione ha acquistato il marchio Florio non credo che lo abbia fatto solo per un problema di immagine né per regalare soldi agli eredi Parodi. Lo ha fatto perché se si riuscirà a risolvere il problema delle quote con una assegnazione congrua sarà lieta di riportare agli antichi splendori prodotti molto richiesti e di porsi leader nella lavorazione di un prodotto di primissima qualità. Mi risulta che il Comune di Favignana si sia adoperato come “facilitatore” per far si che le ultime tonnare rimaste (quelle sarde e Cetara) trovino un accordo sulla spartizione delle quote in modo che Favignana possa tornare a calare. E’ auspicabile che ciò avvenga.
Ho saputo che c’è ostracismo verso gli antichi metodi di pesca e che bisognerà usare metodi più soft. Non so cosa si intenda per catture sostenibili. Di una cosa sono certa: quando durante la mattanza il tonno veniva arpionato moriva quasi subito; nelle tonnare volanti invece il tonno ammagliato muore lentamente e produce anche istamina. Mi dicono che c’è una terza via: inviare dentro la camera della morte un sub che spara ai tonni e poi li tira in barca evitando lo spettacolo cruento della mattanza. Va bene, anche se mi chiedo perché non abbiamo la stessa sensibilità nei confronti della grande sofferenza degli animali che vivono negli allevamenti intensivi. Va bene. Ma decidiamoci a risolvere questi problemi prima che scompaiano quegli anziani ancora in grado di insegnare il mestiere ai giovani. Abbiamo a Favignana ancora un Rais, Salvatore Spataro, in grado di calare tonnara come si faceva un tempo.
Salvatore non partecipa quasi mai ad incontri e conferenze: è un Rais all’antica. Non so se lo sapete, ma i vecchi Rais erano di poche parole. Davano i loro ordini con un cenno degli occhi o delle mani o con poche parole della tradizione antiche quanto la storia del tonno e anche fuori dal lavoro era difficile entrare in confidenza con loro. Personaggi come Rais Solina di Bonagia, Rais Mercurio, Rais Flaminio Ernandez resteranno nella storia delle comunità che hanno avuto la fortuna di conoscerli ricordati come personaggi carismatici, veri e propri sacerdoti di un rito antico quanto il mondo: la pesca. Pertanto se ci sono accordi da fare con altre tonnare che si facciano ma resuscitiamo il nostro tonno e non solo i Florio. Avremo tonnare meno artigianali, cialome e preghiere meno intense, Rais meno carismatici, non ci sarà la magia di un tempo, ma ne varrà comunque la pena. Sarà un vantaggio per tutto il territorio. Non serve parlare di Accademia del tonno se il tonno resta solo un ricordo. E per questa resurrezione è compito della politica trovare il modo.
L’accorato intervento a braccio di Maria Guccione, leader storica dell’ambientalismo delle Egadi, durante Festival del libro del 24 Settembre scorso a Palazzo Florio di Favignana, oltre a rappresentare una inedita pagina di storia e di cultura, testimonia l’esigenza socio economica e turistica molto avvertita dai favignanesi di celebrare non soltanto l’epopea dei Florio, ma di ripristinare contemporaneamente il circuito imprenditoriale e insieme commerciale della pesca del tonno. Oltre alle quote tonno introdotte dall’Unione Europea, a provocare l’obsolescenza della locale tonnara risalente ai fenici è la caccia selvaggia ai branchi di tonni, effettuata in particolare da parte dei giapponesi già nell’Atlantico, prima ancora che possano superare lo stretto di Gibilterra per riprodursi nel Mediterraneo lungo la rotta dell’arcipelago delle Egadi. Come per le balene è una caccia che non lascia scampo ai tonni, condotta con satelliti, droni e veloci navi fattorie nipponiche che pescano e inscatolano direttamente in navigazione i pesci più piccoli e destinano quelli più grandi al ricchissimo mercato giapponese. L’assalto ai tonni nell’Atlantico provoca un gravissimo depauperamento delle risorse ittiche, più volte denunciato dai favignanesi ma per impedire il quale l’Italia e l’Europa non sono mai intervenuti.