Pioggia di missili su Odessa e nuovo corso delle alleanze internazionali: Vladimir Putin cambia ancora strategia e amplia gli scenari dell’invasione per contenere gli effetti sempre più pesanti delle sanzioni occidentali nei confronti della Russia.

Esaurita la spinta offensiva nel Donbass, per carenza di uomini, mezzi e difficoltà di approvvigionamenti, Mosca sta tempestando di missili e cannonate le città ucraine lungo il versante meridionale del Mar Nero, a cominciare dal porto di Odessa.
Strategia del terrore e costante minaccia di ribaltare gli appena siglati accordi sull’export di grano, ma non solo: i russi intendono rimarcare che in quella che considerano una inseparabile nazione dell’ex Unione Sovietica, non si muove foglia o spiga di grano che il Cremlino non voglia.

Da parte di Kiev tuttavia l’allentamento della pressione dei reparti corazzati russi oltre Charkiv, Donetsk e Cherson sta consentendo il dispiegamento delle nuove batterie missilistiche mobili e dei recenti tipi di armamenti forniti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Europa.
Un notevole potenziamento che entro qualche settimana consentirà di fare scattare la controffensiva ucraina. Ma mentre il conflitto si avvia ad una sorta di vietnamizzazione, con da una parte massicci e indiscriminati bombardamenti russi come quelli sulle infrastrutture civili portuali a Odessa, e dall’altra la guerriglia e le frequenti sortite dell’esercito gialloblu, sul piano internazionale Putin ha lanciato una vasta campagna di potenziamento delle alleanze e dell’influenza sotterranea.
Rafforzamento delle alleanze in particolare con Iran, Turchia, paesi arabi e Cina, mentre i legami sotterranei vecchi e nuovi vengono rinsaldati e rifinanziati soprattutto con i leader e movimenti populisti che stanno tentando di sovvertire gli equilibri politici in Europa.

La visita di Putin in Iran, assieme all’alleato di tutti e di nessuno Recep Tayyip Erdoğan, e il successivo colloquio telefonico col il Principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, non rappresentano soltanto la risposta al recente viaggio in medio Oriente del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, quanto piuttosto la messa in sicurezza dei livelli di produzione ed esportazione del petrolio nei confronti di Cina e India, il consolidamento dell’interscambio economico ed il tentativo di bypassare con triangolazioni varie il cappio delle sanzioni che Europa e occidente sta stringendo al collo della Russia.
Le ultime sanzioni, con l’inserimento di Sberbank nella lista nera degli enti sanzionati e il divieto di acquisto, importazione o trasferimento di oro estratto e prodotto in Russia, stanno provocando un effetto domino che il Cremlino ha propagandisticamente sottovalutato.
Le conseguenze complessive della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, un conflitto che invece di una guerra lampo si sta rivelando un buco nero che inghiotte intere generazioni di soltati russi, arsenali, missili, flotte navali e aeree, ed i contraccolpi diretti e indiretti dell’inflazione sull’economia globale, stanno contraendo consumi e domanda e rallentato l’economia cinese.
Una recessione che provoca a sua volta la riduzione della domanda di greggio e di gas da parte di Pechino e New Delhi e innesca ulteriore recessione e surplus di produzione industriale.
Una tempesta imperfetta che Mosca può fronteggiare fino a un certo punto. Fino a quando cioè potrà assicurare i servizi essenziali ai russi: trasporti, alimentazione, farmaci, sanità, generi di prima necessità e ricambi. Accanto ai quali però vi sono le esigenze non rinviabili di assicurare il flusso costante di soldati, armi e mezzi all’armata russa impantanata da cinque mesi nel sud dell’Ucraina.
In attesa di quantificare economicamente i risultati dell’ulteriore apertura diplomatica nei confronti di Iran, Cina e Arabia Saudita, Washington e Londra ritengono che per quanto riguarda l’azione di intelligence segretamente avviata per destabilizzare il fronte politico occidentale, il Presidente russo rischia di ottenere anche su questo versante risultati diametralmente opposti a quelli perseguiti, come già per l’isolamento internazionale di Mosca e il rilancio della Nato determinati dall’invasione dell’Ucraina.
A Downing Street infatti si prefigura la premiership conservatrice della Ministra degli Esteri britannica Liz Truss, molto più antiputiniana dell’uscente Premier Boris Johnson.
Mentre a Roma, tanto che prevalga la leader del centrodestra Giorgia Meloni o che sia prevalente la linea Draghi del centrosinistra, l’allineamento atlantico ed europeo dell’Italia non è assolutamente in discussione. Come nelle “Storie di ordinaria follia” di Charles Bukowski la guerra e il gioco sporco non procurano alcun vero vantaggio, ma soltanto consunzione e devastazione.
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Fondatore e Direttore di zerozeronews.it
Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Rai Palermo e Tg1