Il ruolo e le scelte del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede continuano ad essere epicentro di roventi accuse e polemiche politico-giudiziarie in relazione alla passata gestione del Dipartimento per l’amministrazione carceraria.

Nonostante le dimissioni dal vertice del Dap del giudice Francesco Basentini, scelto personalmente da Bonafede nel giugno del 2018, e la nomina alla guida del Dipartimento carcerario di due magistrati antimafia di primo piano, esperti e al di sopra delle parti, come il Procuratore Generale di Reggio Calabria, Dino Petralia, ed il sostituto Procuratore Roberto Tartaglia, il Guardasigilli non riesce a sottrarsi alla serrata concatenazione fra documentazione e ricostruzione testimoniale di vicende delle quali viene ritenuto oggettivamente responsabile, quanto meno sul piano politico.
Dopo la conferma sulla clamorosa e scottante lista che attesta come le scarcerazioni agli arresti domiciliari per patologie certificate di 376 fra boss e detenuti di notevole pericolosità siano state eseguite senza che il Dap riuscisse ad attrezzare soluzioni alternative nei centri medici penitenziari di Roma, Viterbo e Milano, su via Arenula piomba come un macigno l’intervista rilasciata dal magistrato antimafia e Consigliere del Csm Nino Di Matteo in merito ai retroscena che determinarono la nomina di Basentini da parte di Bonafede.

“Il Ministro della Giustizia – ha affermato domenica notte Di Matteo a ‘Non è l’Arena’ su La7 – mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo di tempo per dare una risposta”, ma “quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo aveva scelto di nominare Basentini”.
