PAGINE
Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Il sistema mafioso é un sotto-insieme della società, di cui condivide evoluzioni e involuzioni. Detto altrimenti: i mafiosi sono una (piccola) porzione della società intera. Non sono mostri, individui strani: come ricordava Giovanni Falcone, essi ci assomigliano e proprio ciò li rende poco riconoscibili (e dunque più pericolosi dei banditi e dei gangster). Sono banalmente normali come lo erano i nazisti in Germania o i razzisti negli Stati Uniti d’America.
Stesso discorso vale, ovviamente, per le donne interne al mondo mafioso: la loro condizione riflette e riproduce la condizione delle altre donne italiane. Che é una condizione ambigua, contraddittoria: sulla carta, legalmente, il patriarcato maschilista é stato quasi completamente superato; ma nei fatti, statisticamente, le donne non hanno raggiunto la parità dei diritti, delle opportunità, rispetto agli uomini.
C’é una maggiore visibilità pubblica delle donne in generale, dunque sempre più spesso troviamo donne che assumono ruoli di responsabilità all’interno delle organizzazioni mafiose. Ma – ecco il rovescio della medaglia – lo sono ancora in quanto madri, sorelle, mogli, figlie…di boss: come molte associazioni coeve (ad esempio la Massoneria) restano androcentriche, maschiliste.
Il loro inserimento nei gangli delle cosche non comporta nessun elemento di critica alla tavola dei valori mafiosi: come accade alle donne che si inseriscono in formazioni partitiche militariste, belliciste, razziste, anche esse si adeguano molto più di quanto apportino di nuovo e di migliore.
Più precisamente si potrebbe specificare il contributo delle donne alle quattro dimensioni principali del sistema mafioso: militare (ordinano omicidi, proteggono killer in latitanza etc.); economico (ad esempio dirigono lo spaccio di sigarette di contrabbando e di bustine di droga in interi quartieri); politico (ad esempio si candidano in occasione di elezioni amministrative e nazionali anche sapendo di concorrere come rappresentanti incensurate di interessi oscuri); pedagogico (sono le protagoniste principali dell’educazione mafiosa assicurando continuità culturale da una generazione alla successiva).
Bisogna aggiungere, però, che proprio perché capaci di giocare tanti ruoli, le donne sono potenzialmente in grado di scardinare il sistema in cui sono inserite per nascita o per scelta. Se, per le ragioni più varie, decidono di uscire dalla gabbia criminale (nella quale sono state talora solo testimoni omertose), lasciano vuoti rilevanti e possono apportare alle indagini giudiziarie contributi significativi: tanto significativi che il resto della “famiglia” (anagrafica o di…adozione) reagisce duramente sconfessandole e isolandole.
In alcuni casi la dissociazione e la collaborazione con le autorità giudiziarie hanno comportato costi altissimi, come la stessa vita: é il caso di Lea Garofalo (assassinata) o di Rita Atria (suicida per sconforto dopo la strage di via d’Amelio e morte di Paolo Borsellino). In altri casi, per fortuna, no: si pensi a Carmela Iuculano, che vive sotto protezione dello Stato una vita abbastanza serena.
Anzi, delle donne sono diventate icone luminose dell’antimafia come la coraggiosa madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta, che ha dedicato metà della sua lunga esistenza a conservare la memoria del figlio e a testimoniarne il messaggio a varie generazioni di giovani in pellegrinaggio a Cinisi.