Il tempo si è fermato nel cortile interno dei palazzi fra i numeri civici 77 e 81 in via Croce Rossa, a Palermo. Si sente ancora l’eco delle infinite raffiche di mitra e della pioggia di colpi esplosi da un commando di almeno sette killer mafiosi per massacrare il Vice Questore Ninni Cassarà e l’agente di Polizia Roberto Antiochia.
Investigatore di livello internazionale, colto, ironico, determinato, amico personale e punto di riferimento di Giovanni Falcone e dell’appena costituito pool antimafia dell’ufficio istruzione, Ninni Cassarà venne letteralmente braccato e assassinato da cosa nostra perché aveva capito davvero tutto. Dai canali del riciclaggio dei narcodollari alle connessioni mafia-politica-finanza, dalle complicità nelle istituzioni ai traditori e doppiogiochisti della porta accanto, in Questura.
Per eliminarlo le cosche mafiose formarono un’apposito squadrone della morte con i sicari più spietati di ogni mandamento. Dopo aver eliminato i collaboratori più stretti di Cassarà, l’agente Calogero Zucchetto e il Commissario Beppe Montana, i killer si appostarono per giorni e giorni negli appartamenti vuoti e nello scantinato del palazzo di fronte a quello dove abitava il funzionario.
Il Vice Questore aveva fiutato l’agguato, si muoveva con circospezione e dormiva in ufficio, alla Squadra Mobile. Qualcuno, però, alle 15,30 del 6 agosto del 1985 avvisò i sicari di quella che doveva essere una sua rapida e improvvisata visita a casa, nell’ora più calda e soporifera del pomeriggio.
Inquadrato dai mirini di armi da strage, appena sceso dall’auto Ninni Cassarà venne così investito da una tempesta di oltre duecento colpi di kalashnikov che non gli lasciarono scampo.
Chi avvisò i killer? Chi spiava le indagini di Ninni Cassarà? Domande rimaste fino adesso senza risposta. Come gli analoghi interrogativi sugli agguati a Boris Giuliano, a Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Nino Agostino, Paolo Borsellino e a tante altre vittime.
Se non si fa piena luce sul contesto dell’intera sequenza dei delitti di mafia non si potrà mai comprendere realmente cosa rimane celato dietro la faccia ancora sconosciuta di cosa nostra. Un ambito che comprende gli oscuri e indicibili interessi incrociati fra mafia e apparati. Reciproche strumentalizzazioni e scellerati scambi di favori, che spesso si intravedono in controluce, ma sui quali non si è ancora indagato radicalmente.
La credibilità delle istituzioni, il valore della democrazia e la stessa legittimità di uno Stato autenticamente democratico, si fondano essenzialmente sulla capacità di garantire verità e giustizia.
Se le istituzioni non conseguono questo obiettivo è triste e sconfortante ricordare il grande valore dei tanti, troppi, protagonisti di quella che negli anni si è trasformata in una sorta spoon river, o meglio in una via crucis dell’antimafia.
Ecco come due testimoni di primo piano ricordano Ninni Cassarà:
Ignazio De Francisci
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Ignazio De Francisci attuale Procuratore Generale di Bologna e negli anni ’80 allievo e collega di Falcone e Borsellino al pool antimafia di Palermo
“Ricordo Ninni Cassarà perché veniva spesso nel bunker dell’ufficio istruzione per parlare con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e ricordo bene il giudizio positivo che Borsellino dava di lui. Ma rammento altrettanto bene il profondo dolore che Falcone provò per l’assassinio del Vice Questore. Non si dava pace per il fatto che non riusciva a fare arrestare i colpevoli di quel crimine. Quando parlava o accennava a Cassarà, Falcone si commuoveva moltissimo”
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Angiolo Pellegrini Generale dei Carabinieri, per anni ai vertici della Dia e dal 1981 al 1985 Comandante della sezione antimafia di Palermo