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Rubrica di critica recensioni e anticipazioni
by Augusto Cavadi
Nel linguaggio comune, i vocaboli ‘fede’ e ‘religione’ vengono usati come sinonimi. Si dà quindi per scontato che chi abbia ‘fede’ in qualcuno o in qualcosa, si riconosca in una determinata ‘religione’. E, viceversa, che, se uno dichiara di appartenere a una ‘religione’, sia una persona di ‘fede’.
Con questa identificazione, però, non si riesce a capire molto di ciò che è avvenuto, e avviene, nella storia effettiva dell’umanità: la quale, invece, è zeppa di persone animate da grande ‘fede’ (in Dio, nell’umanità, nella giustizia, nella libertà, nella solidarietà, nell’amicizia, nella bellezza artistica…), ma diffidenti nei confronti di ogni ‘religione’.
E di persone che, fiere della propria appartenenza a una ‘religione’, non hanno ‘fede’ in nessuno né in nulla (tranne, se mai, che in sé stessi).
Per capirci con qualche esempio: il filosofo tedesco Kant, molto critico nei confronti delle chiese cristiane, riteneva fondamentale la “fede nella ragione”.
Viceversa, innumerevoli politici – anche italiani, anche contemporanei – proclamano a spada tratta la propria identità ‘religiosa’ mostrando, nel privato e in pubblico, una gelida indifferenza nei confronti dei ‘valori’ e una sconcertante abilità di giocarvi come fossero pedine di una perenne partita a scacchi.
Senza questa premessa terminologico-concettuale si potrebbe supporre, in base al titolo, che il recentissimo libro di Ortensio da Spinetoli, “La prepotenza delle religioni” (Chiarelettere, Milano 2020, pp. 104, euro 12,00), sia un manifesto di ateismo militante.
Difficilmente si intuirebbe che raccoglie alcuni tra gli scritti più significativi di un frate cappuccino marchigiano che, nel corso di una lunga e feconda esistenza (1925 – 2015), grazie alle pubblicazioni teologiche tradotte in varie lingue, è diventato un punto di riferimento intellettuale e spirituale per molte donne e per molti uomini del nostro tempo (cfr. la pagina Facebook “Amici Ortensio”).
Sin dalle prime pagine di questa raccolta di testi, l’autore chiarisce il proprio vocabolario: ‘fede’ è “la capacità di aprirsi a una realtà più grande di quanto sia dato sperimentare o dimostrare” (e “ateismo”, in senso autentico, è “rifiutare questa apertura”).
‘Teologia’ è “lo sforzo di dare una spiegazione razionale, logica, al rapporto di fede”. ‘Religione’, infine, è ogni “costruzione fatta a misura d’uomo” che, sulla base di una determinata teologia, mira a “tutelare convenientemente il buon nome della divinità” mediante un complesso “di strutture, di edifici, di ranghi, di istituzioni, di norme, di apparati”.
Come è facile intuire, per padre Ortensio queste tre categorie comportano, nella vita effettiva dei popoli, conseguenze ben differenti: “la fede porta ad affermare che «abbiamo tutti lo stesso Dio», le teologie invece pongono l’uomo di fronte a Jahvé, a Chamos, ad Amon, a Shamash, a Visshnu, a Wishnu”.
Le religioni, infine,scaturiscono dal “bisogno”, fisiologico, dell’essere umano“di esternare, di esprimere in riti, formule celebrative, feste, le proprie esperienze di fede”, ma in non pochi casi diventano, “nelle mani degli operatori religiosi”, “una cappa che si cala sulle coscienze dei ‘fedeli’ sino a soffocare ogni loro anelito”.
Prepotente diventa una religione quando, per disinnescare il potenziale rivoluzionario di ogni fede autentica, adotta come criterio di ‘ortodossia’ una sola delle varie teologie in campo e ricorre a ogni strumento di pressione, e di repressione, per “tenere a debita distanza” gli ‘infedeli’ e “nella dovuta sottomissione i «fedeli»”.
Se tutte le religioni (e dunque tutte le chiese, comunità, congregazioni, ordini, movimenti, sette, conventicole…) sono tentate dalla ‘prepotenza’, la tradizione cristiano-cattolica lo è stata in maniera esemplare.
Se Gesù ha preferito offrire una testimonianza di fede (parlando poco di teologia e preoccupandosi, ancor meno, di organizzare una religione), sin dal Nuovo Testamento i suoi primi discepoli “hanno piuttosto preferito ritornare all’integrismo giudaico che avventurarsi nell’insicurezza della propria fede”: hanno fondato il ‘cristianesimo’ comecomplesso organico di istituzioni tese, “al pari di tutte le forme religiose, ad aggiogare ai propri postulati le coscienze dei rispettivi sudditi”.
Sappiamo che cosa è stata, sino a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, l’intransigenza cattolica. Ma, solo a poca distanza, l’hanno seguita – e qualche volta perfino sorpassata – non poche chiese ‘protestanti’ (soprattutto dell’area fondamentalista ‘evangelicale’).
Già da questi rapidi cenni si può immaginare perché Ortensio da Spinetoli – come scrive nella prefazione il coraggioso biblista, dell’Ordine dei Servi di Maria, Alberto Maggi -in vita “fu accusato senza mai potersi difendere, condannato senza appello”, dalle autorità vaticane. E perché “provò nella sua carne la violenza della religione di una chiesa che, anziché essere madre, si fa matrigna proprio con quei suoi elementi ai quali dovrebbe andare la sua gratitudine”.
Ma criticare, destrutturare, demistificare è solo il primo passo. Altrettanto, e ancor più, necessario il secondo: aprire prospettive, indicare cammini inediti. Per il frate cappuccino il modello da cui trarre inspirazione – ovviamente da seguire creativamente, non pedissequamente – non può che essere, innanzitutto anche se non esclusivamente, Gesù di Nazareth il quale può essere considerato “salvatore” non perché (secondo un’orrida teologia sanguinaria) “si è immolato per i peccati dell’umanità, ma perché ha compiuto scelte giuste, le stesse che possono, debbono, compiere tutti.
Egli ha «dato l’esempio» (Gv 13,5), ha aperto una «strada» (Gv 14,6) che tutti sono tenuti a percorrere. La volontà di Dio, che egli ha insegnato a compiere, è l’attuazione di un disegno che non mira all’esaltazione e alla glorificazione dell’Assoluto, ma alla promozione e alla felicità dell’uomo”.
Se Gesù può essere un modello di fede per noi oggi, è perché egli per primo è stato un “credente” e “non ha opposto remore allo Spirito di Dio”. “Il cristiano teorizza (fa teologia) e celebra (compie riti) in genere più di quanto operi, più di quanto cioè creda. Dovrebbe cominciare a fare il contrario. Cercare di sintonizzarsi con lo Spirito di Dio, più che affannarsi a definirne la provenienza, la natura. Questa non si comprenderà mai”: “credere non è puro pragmatismo, ma senza prassi, opere di bene, la fede, come la carità, è un metallo che suona (1 Cor 13,1), o, per dirla con Giacomo, è morta del tutto (Gc 2,20 – 26)”.
Inaspettatamente, ai nostri giorni è stata riservata la sorte di vedere eletto a Vescovo di Roma un pastore che questo messaggio evangelico, riscoperto da Ortensio da Spinetoli e dagli esponenti più profondi della teologia contemporanea, lo ha intuito con la mente e iniziato a ospitare nel cuore.
Ma la stragrande maggioranza dei Cardinali, dei Vescovi, dei preti, dei frati, delle suore, dei ‘fedeli-laici’ è ancora ferma ai paradigmi costantiniani e tridentini della fede come apparato ideologico di una chiesa che si auto-interpreta come (unica) presenza di Dio nel mondo, come “madre e maestra” di una umanità da cui non ritiene di aver nulla da imparare.
Questi cattolici non sono soggettivamente peggiori di altri: la tragicità della situazione è che, spesso, sono in perfetta buona fede. Dopo secoli di catechismo trionfalistico, idolatrico, tribale – se non hanno gli strumenti o il tempo o la voglia di rimettersi a istruirsi sui libri degli specialisti (almeno su quei libri che riescono a rompere il duplice muro della censura ecclesiastica e degli interessi dell’editoria ‘laica’) – rimangono inevitabilmente vittime di interpretazioni teologiche tanto inveterate quanto infondate.
Nessuna meraviglia dunque se continueranno a difendere il Dio di Bush e di Trump, di Riina o di Provenzano, di Berlusconi o di Salvini, del cardinal Camillo Ruini o del cardinal Tarcisio Bertone, sinceramente convinti di star difendendo il Dio di Gesù.
Se Papa Francesco non avrà la possibilità e il tempo di operare riforme strutturali radicali – quali sono state invano proposte dal sinodo amazzonico da poco concluso e dal sinodo della chiesa cattolica tedesca in corso – il suo pontificato passerà, nella storia, come una meteora: un oggetto di studio per gli addetti ai lavori accademici, non come la svolta in grado di salvare la chiesa cattolica dalla sua stessa, patetica, prepotenza.
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