by Augusto Cavadi
Dai tempi di Sant’Agostino (IV – V secolo), sino a quando andavo al catechismo per prepararmi alla Prima Comunione, alla domanda sul perché avvenissero cataclismi, terremoti, eruzioni vulcaniche, pestilenze e disastri naturali simili, la Chiesa cattolica rispondeva: “Conseguenze del peccato originale compiuto da Adamo ed Eva”.
Il padre della Chiesa africano, immigrato a Milano, aveva dato la formula-chiave: “Da quando l’anima si è ribellata a Dio, il corpo si è ribellato all’anima e la natura si è ribellata al corpo”. Secondo molti teologi contemporanei questa spiegazione non regge più per almeno due ragioni.
La prima è che, studiando la Bibbia con metodi esegetici rigorosi, si scopre che essa non insegna questa concatenazione di cause ed effetti: trasformare un racconto mitologico (i progenitori nel giardino dell’Eden) in resoconto storico di un evento effettivamente avvenuto (e, per giunta, dalle conseguenze disastrose perenni) è stato un errore madornale.
La seconda ragione è che l’evoluzione delle scienze antropologiche rende incredibile la tesi che una coppia primitiva, appena un po’ più evoluta dei primati, abbia potuto rendersi responsabile di scelte catastrofiche per la propria esistenza e per il destino di miliardi di discendenti umani.
La dottrina del peccato “originale”, scartata come dispositivo argomentativo per spiegare i fenomeni naturali che provocano enormi danni agli esseri umani (anche se si tratta di fenomeni che hanno una propria logica e svolgono una funzione evolutiva), va dunque gettata nel cestino dei rifiuti? Sinceramente penso di no.
Essa, del tutto inaccettabile se si tratta di spiegare – teologicamente o filosoficamente o scientificamente – i comportamenti della natura, se interpretata metaforicamente, aiuta a capire come mai quei comportamenti fisiologici (in sé innocenti) comportino per noi esseri umani degli effetti tanto dolorosi. La pandemia di questi giorni ne costituisce una chiarissima, anche se amara, conferma.
Infatti che uno dei milioni di virus circolanti sul pianeta – milioni di anni prima della comparsa di noi umani – possa attecchire su organismi animali (dai pipistrelli ai suini, dai felini a noi) è un fenomeno in sé ‘normale’, come è ‘normale’ che le piogge provochino l’ingrossamento di fiumi e ruscelli, sino al punto da farli esondare sui terreni adiacenti: questi fenomeni non possono certo essere addebitati a chi sa quali peccati compiuti, milioni di anni fa, da sconosciuti progenitori abitanti in caverne.
Che tali contagi avvengano in condizioni artificiali di mercati igienicamente precari (nei quali dei viventi – capaci, come e talora più di noi, di sofferenze – vengono trattati come cose inanimate e insensibili) o che esondazioni distruggano case e stalle, soprattutto vite umane e di altri animali, non ha invece nulla di ‘normale’: è scandalosamente patologico.
Ma accadrebbe se generazioni di cittadini rispettassero le leggi statuali e se, più radicalmente, le leggi degli Stati rispettassero le leggi della Natura?
Questa duplice insubordinazione possiamo anche chiamarla con termini meno teologicamente caratterizzati del vocabolo “peccato”; possiamo chiamarla arroganza, tracotanza, colpa, illegalità o a-legalità, delirio di onnipotenza, oblio dei propri limiti ontologici, ubriacatura antropocentrica, disprezzo della logica, ignoranza scientifica, sete smisurata di profitti, complicità nella corruzione tra governanti e governati…possiamo chiamarla come vogliamo ma, nella sostanza, è proprio ciò che indica il vecchio semantema “peccato”.
