by Aldo Morrone *
Tornare nel Kurdistan iracheno è sempre una grande emozione. Insieme con Soran Ahmad, Presidente dell’Istituto Kurdo, siamo qui per continuare la collaborazione clinico-scientifica con i medici e tutto il personale sanitario di questo straordinario Paese. 
Il popolo kurdo ha inventato l’arte di resistere. Di resistere a tutto, anche a chi ha disegnato con il righello e senza cervello confini assurdi che hanno diviso un intero popolo tra frontiere turche, iraniane, irachene e siriane. Malgrado la promessa del Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, la comunità internazionale si è sempre rifiutata di dare loro uno Stato.
Eppure, senza la comunità kurda e senza i loro Peshmerga che più di altri hanno lottato e combattuto casa per casa a Raqqa, Falluja, Mosul, oggi avremmo ancora l’ISIS e il Daesh.
Anche oggi, se continua la lotta dei “capelli”, che sta infiammando Paesi vicini, si deve al sacrificio di Mahsa Amini, la studentessa curda uccisa a causa del fanatismo religioso. L’ultimo esempio della fierezza e dignità delle donne kurde, dalle soldatesse che combattono i terroristi del Daesh in Siria e Iraq. Qui ogni aspetto della vita ruota intorno alla figura di una donna.
Vivo sentimenti di indignazione profonda quando ritorno nei campi di sfollati e rifugiati di Ashti, Arbat e Tazade dove migliaia di famiglie ormai vivono da anni. Donne e bambini che hanno conosciuto l’orrore della guerra, del genocidio. Incontro le donne Yazide, deportate, violentate, ridotte in schiavitù e vendute dall’ISIS, come Nadia Murad, premio Nobel per la Pace, insieme con il medico Denis Mukwege per il loro impegno a mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra.
