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Gesù sulla croce di cosa nostra

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

By Augusto Cavadi

Yeshu’a é un nome aramaico (in latino Jesus) molto diffuso prima, durante e dopo la vita di Gesù il Nazareno (che, infatti, ebbe bisogno di ulteriori denominazioni per essere individuato fra molti omonimi: “figlio di Giuseppe”, “l’Unto (nel senso di  Inviato)”.

Nulla di strano, dunque, che si incontrino, nella vita reale e nella letteratura, persone con questo nome i cui tratti caratteriali possono somigliare poco – talora per nulla – all’immagine che di Gesù ci hanno consegnato i vangeli (sia ‘canonici’ che ‘apocrifi’).Gesù sulla croce di cosa nostra

A noi italiani é difficile non pensare al “Gesù bambino” che “gioca a carte e beve vino” della toccante canzone 4 marzo 1943 di Lucio Dalla. Su questa lunghezza d’onda – affettuosamente demitizzante – troviamo il protagonista del romanzo di  Salvo Ales, Lo chiamavano Gesù (Gruppo Editoriale Bonanno, Acireale 2024).

Non é un santo, almeno non secondo il prototipo dell’immaginario collettivo cattolico (se mai vicino al protagonista de La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth).

Gesù sulla croce di cosa nostra
Salvo Ales

Addirittura é figlio di un boss mafioso e, per certi versi, ne condivide alcune caratteristiche. Ma, sostanzialmente, ne prende le distanze, un pò come Peppino Impastato nei confronti del proprio padre e della famiglia d’appartenenza.

Così la narrazione scorre su un registro ambivalente: a momenti sembra che questo Gesù ricalchi la mitezza, la pazienza, la dolcezza di quell’altro; in altri momenti, invece, ne è come l’immagine capovolta, antipodica. Infatti di solito é incapace di rispondere alla violenza con la violenza, ma é anche “invidioso” del fratello biologico, al punto da arrivare a volersi “vendicare” di un suo ennesimo atto di spavalderia. Il risultato letterario é intrigante: un personaggio complesso, equidistante dalla enfatizzazione sdolcinata come dalla demonizzazione moralistica.

Qualcuno, spiazzato da tale complessità, ha ritenuto blasfemo questo scritto, come vennero giudicate blasfeme le poesie-canzoni di Fabrizio De André raccolte nell’album La buona novella (non a caso qui citato in esergo).Gesù sulla croce di cosa nostra

Se riteniamo che il Gesù della storia sia stato il Cristo Pantocratore dei catini absidali bizantini, allora questa rappresentazione letteraria é davvero blasfema, o almeno troppo riduttiva. Ma – non so quanto consapevolmente – Ales si sintonizza con le più recenti interpretazioni della figura di Gesù secondo cui egli é stato un essere umano come tuti gli altri e che solo gradualmente è diventato Dio nel culto delle prime comunità e nelle definizioni dogmatiche dei primi concili (a partire da Nicea nel 325). Se – come mi sono convinto dopo decenni di studio – questa cristologia dal “basso” è la più aderente alla verità storica, la lettura di Gesù che traspare nelle pagine di Ales non è solo consentita, ma addirittura l’unica ortodossa. Ci restituisce, infatti, un Gesù vivo, vero, capace di sperimentare l’amore a trecentosessanta gradi: non solo dunque come agape e philia, ma anche come eros. Un Gesù imitabile perché imperfetto, in progress: come lo siamo gli uomini e le donne della storia effettiva, non delle idealizzazioni alienanti.

Il padre di questo racconto vuole la morte del figlio (buono) come espiazione per la morte dell’altro fratello (cattivo), ma in extremis l’esito si capovolge. Anche di questo segmento della narrazione vorrei proporre una lettura teologica.

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Ricostruzione del volto della Sindone

Almeno da mille anni ad oggi la teologia cattolica attribuisce a Dio Padre il progetto di sacrificare il Figlio perché solo la morte di un Dio avrebbe potuto riparare l’offesa (di rilevanza infinita) dell’umanità peccatrice.  Ma negli ultimi decenni questa interpretazione é fortemente contestata: come può un Padre volere la morte di un Figlio come condizione per placare la propria ira verso altri figli disobbedienti? Non è questa concezione del Divino troppo antropomorfica? L’immagine del Dio padre-padrone-padrino è dunque ritenuta incompatibile con i tratti del Dio maternamente misericordioso di altre pagine bibliche e, in particolare, evangeliche. Non so se sia una forzatura, ma mi viene spontaneo leggere il racconto di Ales come una parabola di ciò che sta succedendo in teologia: il padre del suo racconto, come sta accadendo al Padre della tradizione dogmatica, depone ogni sentimento di giustizia riparativa, compensativa, avvertita come incompatibile con l’Origine della vita.Gesù sulla croce di cosa nostra

 

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Augusto Cavadi
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Giornalista pubblicista, Filosofo. Fondatore della Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone di Palermo
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