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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Sulle teorie che propugnano una qualche forma di “decrescita” – ve ne sono diverse versioni – si moltiplicano equivoci e fraintendimenti.
Solo per limitarmi ad un pregiudizio: che si tratti di un invito a ritornare al Medioevo, se non ancor più indietro, rinunziando alle conquiste scientifiche e tecnologiche degli ultimi tre secoli.
Dunque di una teoria regressiva, depressiva, da accogliere nella migliore delle ipotesi con rassegnazione.
Basta però leggere uno qualsiasi degli scritti di Maurizio Pallante, il maggiore esponente italiano di questa proposta politico-economica, per rendersi conto che si tratta invece di un progetto di miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva, da praticare con convinzione e allegria.
Nella sua più recente pubblicazione – Spiritualità, dono del tempo, contemplazione. Un approccio laico, Messaggero, Padova 2021, pp. 125, euro 10,00 – Pallante ribadisce la finalità che si prefigge (“non è il meno in quanto tale, ma il meno quando è meglio”, p. 107) ed esplicita un presupposto antropologico di rilievo: nessun cambiamento economico è possibile senza un cambiamento politico, ma nessun cambiamento politico è possibile senza una conversione culturale ed etica che egli denomina qui “spiritualità”.
L’autore si affretta a precisare che non si riferisce a una “spiritualità” in senso religioso né tanto meno confessionale, bensì a una prospettiva “laica” (cita Carlo Michelstaedter e Pier Paolo Pasolini) fondata sulla “consapevolezza che il benessere materiale non è tutto e, se diventa tutto, si trasforma in malessere” (p. 29).
Proprio perché ‘laico’, lo sguardo di Pallante può rivolgersi a trecentosessanta gradi, senza escludere nessuno: dunque può evocare anche “l’insegnamento profetico insito nelle scelte esistenziali di Francesco d’Assisi” (p. 43).
Il santo d’Assisi ha testimoniato che se si sperimenta una grande ricchezza interiore, se si fruisce della bellezza naturale e dell’autenticità delle relazioni fraterne e sororali, liberarsi dalla tirannia dell’accumulazione di denaro diventa facile, addirittura spontaneo. Invertendo l’intuizione di Kierkegaard (non siamo infelici perché peccatori, ma peccatori perché infelici), Francesco può indicarci una strada inedita: non felici perché virtuosi, ma virtuosi perché felici. Chi vive la pienezza di senso nella quotidianità e nella semplicità dei costumi, dei consumi, degli atteggiamenti…per quale motivo dovrebbe affaticarsi nella ricerca del lusso, del superfluo?
Chi avverte “poche esigenze materiali e le soddisfa con poco, viene considerato povero ma, se vivendo in questo modo riesce a concentrarsi sulle sue esigenze spirituali, è più ricco e felice di chi invecchia ripetendo sempre più stancamente gli stessi gesti di ogni giorno” (p. 50).
Non si tratta di demonizzare il denaro, ma di ridimensionarne l’importanza, “non necessariamente rifiutandolo in maniera assoluta, ma riconducendolo al ruolo di mezzo di scambio delle merci con valore d’uso, da affiancare all’autoproduzione e agli scambi non mercantili basati sul dono reciproco del tempo” (p. 51).