Il diluvio universale di enfasi & show per il vaccino della salvezza, rischia di far perdere di vista o, peggio, di sopravvalutare alcuni punti di riferimento essenziali riguardanti le potenzialità della campagna di vaccinazione, il contesto scientifico e le modalità con le quali è stato sperimentato e prodotto l’antidoto alla devastante pandemia di Covid-19.
La giustificata emozione per la storica svolta dell’avvio delle vaccinazioni in Europa, negli Usa, in Israele e alcuni paesi dell’America latina, ha probabilmente contribuito a rimarcare una superiorità scientifica e biotech dei paesi occidentali, in realtà nei fatti mai messa in discussione e mai venuta meno rispetto alla Russia e alla Cina.
A parte le inconfessabili specializzazioni nelle sperimentazioni di armi battereologiche, Mosca e soprattutto Pechino infatti si sono avvalse per testare i loro vaccini direttamente sui cittadini senza alcuna verifica umana preventiva del “copia e incolla”, aggiuntivo rispetto ai furti di set of knowledge operati attraverso l’intelligence cibernetica, dei dati scientifici messi a disposizione della comunità internazionale da tutti i centri di ricerca e dagli scienziati occidentali.
A cominciare dai dati sul RNA messaggero, la molecola che porta le informazioni dal DNA nel nucleo al meccanismo di produzione delle proteine , e in particolare della proteina Spike, nel citoplasma evidenziate fin dal 1961 dal Vaccine Research Center degli Stati Uniti e successivamente nel 1990 dall’Università del Wisconsin, come attesta l’articolo del Washington Post sintetizzato il 6 dicembre 2020 scorso da zerozeronews col titolo: ”Ecco la formula dei vaccini anticovid”.
“Tutti i risultati delle ricerche occidentali sono pubblicati in tutto il mondo e sono a disposizione di chi è in grado di elaborarne i dati” conferma Italo Giannola, Professore di Chimica Farmaceutica all’Università di Palermo, esperto di biofarmaceutica e titolare di alcuni brevetti farmaceutici, come quello sui metodi di preparazione e utilizzazione delle particelle nanometriche.
Prof. Giannola le multinazionali farmaceutiche e i ricercatori occidentali hanno bruciato i tempi per testare vaccini efficaci o si sono avvalsi di sperimentazioni in corso da decenni sull’aggressione virale della proteina spike?
Di norma, per sviluppare un vaccino, sono richiesti tempi lunghi (che vanno dai due ai cinque anni) che spesso sono anche causati da adempimenti burocratici molto complessi; in alcuni casi (vedi HIV) un vaccino non è stato ancora trovato.
Nel caso del COVID-19, per ridurre i tempi necessari alla messa a punto del vaccino, sono state eliminate alcune formalità che hanno prodotto una evidente accelerazione della ricerca.
Il primo importante passo è stato realizzato a gennaio 2020 con la decifrazione del genoma del virus SARS-CoV-2.
Utilizzando una recentissima tecnica (la criomicroscopia elettronica) che ha consentito di svelare la struttura 3D della proteina spike, è stata osservata e fotografata l’interazione tra virus e cellule umane. Questo aspetto ha permesso di trovare con rapidità strategie adeguate alla realizzazione di vaccini. I numerosissimi studi, già effettuati in tutto il mondo sui virus emergenti che negli ultimi 20 anni hanno fatto il salto di specie (vedi SARS, MERS, virus influenzali e aviari ….), hanno messo a disposizione un background tecnologico-scientifico che ha consentito di ridurre in modo significativo i tempi necessari per la messa a punto dei vaccini oggi disponibili.
Perché non si sa quasi nulla dei vaccini cinesi e russi?
Anche se su tantissime materie e aspetti culturali, ideologici e politici le barriere tra i paesi dei vari blocchi si sono in parte smorzate, in campo scientifico-tecnologico sussistono ancora diffidenze e cautele concorrenziali. È da notare che le informazioni e i risultati scientifici ottenuti in alcuni paesi come Russia, Cina, Corea del Nord … sono di difficile reperimento; di contro, quanto viene pubblicato nel resto del mondo è di dominio pubblico e a disposizione di chi è in grado di elaborarne i dati.
Come mai la campagna di vaccinazione in Cina e in Russia è iniziata con mesi d’anticipo rispetto agli altri paesi. A Pechino sembra già a luglio?
Stiamo parlando di sistemi politico-organizzativi completamente diversi dai nostri. In quei paesi i prodotti medicinali di nuova introduzione devono essere adeguati a normative totalmente diverse dalle nostre. Gli standard di sicurezza per la somministrazione di principi attivi sono ben più ridotti rispetto a quelli che prevede la normativa italiana ed europea.
Vaccini europei e Usa risolutivi, oppure sarà necessario ancora osservare misure di cautela fino a quando quasi tutti gli Italiani e gli europei saranno vaccinati?
Nella diffusione del COVID-19, il vaccino sarà risolutivo solo quando sarà raggiunta la cosiddetta “immunità di gregge” tanto citata in questi mesi. Esclusivamente allora potremo tornare a vivere in modo naturale la nostra esistenza.
In base a quanto pubblicato recentemente sull’American Journal of Preventive Medicine, in assenza di altri interventi, per limitare e prevenire un’epidemia il vaccino deve avere la capacità di prevenire l’infezione di almeno il 70% (efficacia) se la vaccinazione copre almeno il 75% della popolazione. Per estinguere l’epidemia il vaccino dovrebbe avere un’efficacia di almeno 80% con una copertura del 75% della popolazione. In base a questi dati, per osservare il massimo degli effetti della vaccinazione bisogna auspicare e attendere che circa il 75-80% dei cittadini aderisca al programma di somministrazione del vaccino. Ciò richiede tempo, evidentemente mesi. Durante questo periodo e fino alla fine del programma di somministrazione non dovremo dimenticare di applicare le misure di sicurezza finora adottate e dovremo ancora contribuire alla formazione di unabarriera alla diffusione del virus, mediante la frequente disinfezione delle mani, l’uso della mascherina, il distanziamento interpersonale, il contenimento negli spostamenti e nonfrequentare luoghi chiusi e affollati. Bisognerà evitare che gli asintomatici e i paucisintomatici continuino ad agire da inconsapevoli “diffusori invisibili” del virus.
Dal punto di vista scientifico e della ricerca, cosa insegna l’esperienza della pandemia del Covid-19?
A parer mio, l’esperienza della pandemia del Covid-19 dal punto di vista scientifico e della ricerca non insegna nulla di nuovo. Ci fa soltanto rimarcare quello che viene detto da tempo ma che il mondo politico non ha voluto mai ascoltare. Bisogna investire molto, molto e ancora molto in ricerca e sviluppo. Spesso la ricerca cosiddetta “di base” è vista come mero esercizio speculativo ma non è così. Ogni ipotesi, progetto, studio risultato deve essere considerato come parte di un complessivo patrimonio di conoscenze disponibili per la collettività. La disponibilità e l’applicazione di un adeguato bagaglio di cultura scientifica e di risultati della ricerca potrà risolvere, al momento opportuno, nuovi problemi che potranno porsi nel futuro.