Libia in fiamme
La Libia precipita nella guerra civile. Un’implosione che rischia di destabilizzare tutto il nord Africa e che alza di molto il livello di guardia per la sicurezza nazionale dell’Italia.
“E’ evidente che il caos a Tripoli non può che giovare alla Francia che sembra preferire un ovest destabilizzato ad una possibile pax italiana” afferma l’editorialista e analista di strategie politico militari Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.
- Perché?
Per il controllo del petrolio e delle fonti energetiche.
- Evoluzione in corso della situazione?
Il Governo Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite e appoggiato dall’Italia, appare isolato e potrebbe essere costretto ad abbandonare Tripoli. Una posizione difficile per il nostro governo che fin dall’inizio ha mostrato una grande fiducia in Serraj e negli uomini a lui vicini .L’Italia ha però ancora delle carte da giocare sia a livello interno sia a livello internazionale.
- Come?
Da un punto di vista interno è necessario sostenere le autorità di Tripoli, la cui tenuta è fondamentale per mantenere una posizione nel paese e soprattutto lavorare con la comunità internazionale per un dialogo inclusivo capace di “ricompattare” quante più milizie possibili intorno a un progetto comune di stabilizzazione. Per questo motivo, l’errore più grande che il governo italiano potrebbe fare sarebbe quello di richiamare l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone che si è opposto, giustamente a elezioni a breve a causa dell’evidente instabilità del paese e dialoga da tempo con i gruppi locali. Sarà poi indispensabile allargare lo sguardo ad est anche verso il generale Haftar che controlla la Cirenaica.
- Come incunearsi fra Haftar e Parigi?
Anche se il generale della Cirenaica è un alleato storico della Francia e difficilmente allenterà i legami con Parigi, specie in un momento così favorevole, la rinnovata partnership tra Roma e il Cairo, altro storico sponsor di Haftar, può essere un buon viatico. L’Italia dovrebbe continuare a giocare la carta economica: oltre a Zhor, il mega giacimento offshore, l’Eni ha appena annunciato una nuova scoperta di gas nel deserto occidentale egiziano che potrebbe erogare fino a 700.000 metri cubi di gas al giorno. La sponda con l’Egitto, poi, è anche funzionale a intavolare un discorso con Putin, che sostiene e finanzia Haftar, il quale ha legami consolidati con il presidente egiziano.
- E gli Stati Uniti?
La Libia non è certo in cima alle priorità dell’amministrazione Trump, ma il contrasto al terrorismo sì e la destabilizzazione della capitale libica potrebbe riaprire la costa ovest ai gruppi jihadisti che attendono il loro momento nel sud del paese. Non solo, una perdurante instabilità permetterebbe alle forze estremiste di “irradiarsi” anche nei paesi vicini. Un buon argomento per avere anche Washington dalla nostra parte.