C’è un contesto per svariate ragioni inesplorato, tanto della lotta contro la mafia, quanto della stessa antimafia: quello dell’inspiegabile assenza di giustizia e di memoria per molti omicidi che investigativamente evidenziano tutti gli elementi essenziali per completo riscontro dei fatti. Come se imprescrutabili circostanze alterassero l’iter di conclusioni unanimemente condivise.![L’oblio dell’antimafia](https://www.zerozeronews.it/wp-content/uploads/2023/01/mafia-1-1280x720-2-600x338.jpg)
Emblematico e allo stesso tempo mortificante per lo Stato é il clamoroso caso, taciuto per 58 anni, di uno dei primi magistrati antimafia di Palermo, Antonino Giannola, assassinato il 26 gennaio del 1960 durante un’udienza all’interno del Tribunale di Nicosia del quale era Presidente.
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Inghiottita dall’oblio, la tragedia dell’assassinio del giudice Giannola, nato a Partinico nel 1906, é finita nel dimenticatoio fino a quando, nel 2018, dopo l’ennesima sollecitazione dei figli, al termine di ricerche d’archivio avviate da Anm, Csm e Ministero della Giustizia, il suo nome é stato inserito nell’elenco delle Rose Spezzate dell’Anm e sulla targa d’ottone affissa davanti all’aula magna della Corte di appello di Palermo per ricordare tutti i magistrati uccisi nell’esercizio delle funzioni, dalla mafia, dal terrorismo e dalla criminalità.
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Ancora irrisolto resta invece, a distanza di 33 anni, il caso del 29enne gioielliere Nicola Gioitta ucciso con due colpi di pistola e poi sgozzato il 21 marzo del 1990 all’interno della sua oreficeria in pieno centro a Niscemi. Appare da subito evidente che non si tratta di una rapina finita male, ma di un’esecuzione mafiosa per il probabile rifiuto di pagare il “pizzo” al racket delle estorsioni gestito nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Ragusa, dalla Stidda di Gela, la spietata organizzazione criminale locale concorrente di cosa nostra.
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Tesi della vendetta mafiosa riconosciuta dalla Prefettura di Caltanissetta. “Ad avviso di questa Prefettura, il defunto Gioitta può ritenersi vittima innocente della mafia, nella considerazione che la vittima, al tempo dell’evento, risultava estranea ad ambiente e rapporti delinquenziali. Inoltre l’efferatezza e la modalità del delitto possono, a ragione, annoverarsi tra le tipiche esecuzioni mafiose tendenti all’immediata eliminazione della vittima, il cui gesto serviva a intimidire gli operatori economici del luogo” scrive la Prefetta dell’epoca, Isabella Giannola, figlia del magistrato assassinato nel 1960 mentre presiedeva l’udienza di un processo all’interno del Palazzo di giustizia di Nicosia.
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