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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Troppo spesso si apprendono dai media episodi di violenza o di maltrattamento dei bambini e, a parte la condanna e il dolore per le tragiche conseguenze da essi subite, non è difficile accorgersi di quanto sia poca l’attenzione per l’universo dei piccoli. Basti pensare alla scarsa considerazione che si ha della scuola, degli insegnanti e di tutto ciò che è legato all’apprendimento dei bambini.
Anche per tali motivi, merita di essere segnalato il saggio “Il popolo dei bambini. Ripensare la civiltà dell’infanzia” di Margherita Rimi, di recente edito da Marietti.
Innanzitutto, è importante sottolineare che l’autrice non è un’accademica o una scrittrice qualsiasi, ma una neuropsichiatra infantile che opera quotidianamente con i bambini, soprattutto con quelli vittime di violenze e abusi o disabili. E peraltro la passione con cui la Rimi esercita questo difficilissimo e delicato mestiere è testimoniato da alcune sue raccolte di poesie (originalissime) nelle quali conquistano la ribalta le voci dei bambini (“Era farsi. Autoantologia 1974-2011”, “Nomi di cose-Nomi di persona”, entrambe edite da Marsilio).
Secondo la Rimi, i bambini nel loro insieme costituiscono un “popolo nuovo, sui generis; un popolo trasversale che va oltre i concetti di razza, terra, lingua, religione e di limiti geografici”. I bambini hanno cioè una loro identità precisa e specifica, al pari dei popoli. Sono portatori di bisogni, esigenze, valori, creatività propri e incarnano “l’utopia del cambiamento”. Pertanto, le speranze in un futuro migliore, la costruzione di un domani diverso dal presente più pervaso di ottimismo e contagiato dalla gioia passano attraverso la mediazione e una partecipe e intelligente interlocuzione col popolo dei bambini. In quanto popolo, i bambini hanno una loro civiltà fatta di una lingua particolare, di un modo singolare di apprendere e approcciarsi alla realtà, di giocare. Già, il gioco: la Rimi evidenzia la sua importanza; è attraverso di esso che i bambini si esprimono, comunicano, esplorano la realtà. Il gioco, ci avverte la Rimi, è per i bambini una cosa seria, anzi serissima. Da qui l’errore in cui spesso incorrono gli adulti di contrapporre il lavoro o lo studio al gioco o di minimizzarlo.
Oltre che sul gioco e sui giocattoli, l’autrice si sofferma sulla lingua dei bambini mettendone in evidenza, fra l’altro, la carica inventiva e la coloritura poetica. Per la Rimi, d’altronde, il mondo dei piccoli è un pianeta in cui regna la poesia, senza con ciò idealizzarlo né edulcorarlo: è la loro genuinità, candore, freschezza, insieme alla capacità di stupirsi, a trasferire agli adulti sentimenti puri e alti.
La Rimi, nel suo interessantissimo saggio, mette in guardia dai più comuni e diffusi errori che si commettono quando si guarda all’infanzia. Il primo è quello di non avere consapevolezza del “popolo” e della “civiltà” dei bambini, e cioè di tutto ciò che per loro assume importanza vitale e che si tende a sottovalutare: di non saperci calare in un contesto di luci, colori, calori diversissimo da quello degli adulti. Gli altri sono lo squalificare la realtà dei bambini, i loro giochi, i loro canali cognitivi e comunicativi, anche col ricorso a un linguaggio fatto di vezzeggiativi leziosi, o, al contrario, di idealizzarla falsificandola, spesso utilizzando concetti e schemi mentali del mondo degli adulti.
“Il popolo dei bambini” è un saggio che, seppure ricco di argomentazioni e richiami scientifici (oltre che di riferimenti letterari), risulta di gradevole lettura. Per più di una ragione: è scritto in un italiano chiaro e scorrevole, il dettaglio scientifico è accompagnato dalla partecipazione emotiva dell’autrice, in alcune pagine rimbomba l’eco della vocazione poetica della Rimi.