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Mafiosizzazione: l’inarrestabile espansione criminale delle mafie

by Antonio Borgia

Si è sempre sostenuto che le regioni meridionali dove sono nate le mafie non riescono a liberarsene per vari motivi: uno strascico di omertà tuttora presente, un mai cessato consenso sociale da parte di alcuni strati della popolazione, la diffusa accettazione del sistema criminale per il disinteresse a ribellarsi, il profondo radicamento culturale delle organizzazioni. Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra

Nelle regioni del Nord Italia, non abituate al fenomeno mafioso, per decenni si è dato per certo che non vi sarebbe mai stata la possibilità di un’estensione del problema.  Invece, malgrado un ricorrente e ipocrita tentativo di minimizzare, con il passare del tempo il ricco settentrione é diventato vera e propria terra di conquista, nell’indifferenza generale. Cosa accade?

Quando venne assassinato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Palermo, il 3 settembre 1982, si comprese che la mafia siciliana, all’epoca la più potente fra le organizzazioni criminali, stava iniziando a perdere consensi fra la popolazione.

La storica omelia del Cardinale Salvatore Pappalardo ai funerali, con la citazione di Tito Livio (Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur), riferita all’abbandono a se stessa di Palermo, colpì clamorosamente nel segno e portò alla successiva decisione autunnale della Conferenza episcopale siciliana di scomunicare, latae sententiae, ovvero automaticamente, chi si fosse macchiato di crimini violenti di matrice e cultura mafiosa.

Nella memoria collettiva l’episodio rimane come la prima e concreta “chiamata alle armi” per quel movimento popolare, inizialmente costituito da sole donne (le vedove del Procuratore  Gaetano Costa, del Giudice Cesare Terranova, del Maresciallo Lenin Mancuso e del Capo della Squadra Mobile Boris Giuliano, tutti uccisi a Palermo da cosa nostra), che ha dato luogo alla nascita di tante associazioni antimafia o centri studi sul fenomeno criminale.

La vera e propria rivoluzione culturale si ebbe, dapprima in Sicilia e poi nel resto d’Italia, subito dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio del 1992 e le cosiddette “bombe del dialogo” del 1993, definizione coniata dall’allora Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Luciano Violante, con riferimento al ricatto di cosa nostra allo stato ed ai tentativi dei boss di avviare  trattative con le istituzioni.

Presa di coscienza  caratterizzata da innumerevoli manifestazioni di studenti per gridare il no alla mafia, nel ricordo soprattutto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Da quel momento, grazie anche a Don Ciotti che ha riunito oltre 1.500 associazioni antimafia in Libera, in tanti hanno costantemente cercato di informare vecchie e nuove generazioni sull’attualità del pericolo.

Si riteneva che questo prodigarsi incessante, soprattutto nelle scuole, avrebbe evitato un calo di attenzione verso l’attività delle mafie ma che invece é gradadamente scivolata nell’oblìo, paradossalmente anche grazie alla cattura dei capi stragisti dei corleonesi e l’abbandono dell’uso della violenza efferata da parte di cosa nostra e ‘ndrangheta, la cosiddetta “strategia della sommersione”, per potersi dedicare ai lucrosi affari illeciti con maggiore tranquillità.

Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il mutare della generale percezione del fenomeno mafioso ha portato,  in un convegno di Libera sulle mafie al Nord, svoltosi nell’ottobre 2011 a Torino, alla teorizzazione da parte dell’allora magistrato Antonio Ingroia di una possibile “mafiosizzazione della società”, come conseguenza dell’assuefazione alla presenza di cosa nostra e all’evidente rinuncia collettiva a fare argine al diffondersi del fenomeno criminale.

Assuefazione che avrebbe contribuito ad anestetizzare il contesto sociale e in parte anche l’informazione, meno interessata a seguire i molti processi giudiziari, anche se importanti, sia nelle regioni meridionali sia nel resto d’Italia (in ultimo Veneto e Trentino).

In pratica, l’assenza di morti e stragi é stata ritenuta bastevole a spargere, a piene mani, confortanti teorie sulla fine della mafia e sul ritorno alla normalità, prospettando l’ipotesi che il problema fosse ormai superato.

La prova di tale dichiarato clima di smobilitazione, ad esempio, é fornita dal grande ritardo con cui, solo dopo la relazione della Commissione Parlamentare antimafia del 2008, inizialmente contestata da molti, si è faticato a prendere atto che il Nord Italia avesse spalancato le porte alla colonizzazione della ‘ndrangheta calabrese, ormai ritenuta il principale network criminale del pianeta.

E’ stato infatti investigativamente accertato che, espandendosi a macchia d’olio in tutte le regioni del nord, gli esponenti della ‘ndrangheta sono riusciti ad acquisire un fondamentale patrimonio di conoscenze e di un contesto professionale più o meno pronto a fungere da “zona grigia” per fornire supporto e coperture per il riciclaggio di denaro o l’infiltrazione economica.Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra

Così, mentre imprenditori, politici, amministratori e professionisti in modo maldestro o consapevole hanno avviato rapporti con le cosche, i mafiosi hanno cercato anche di espandere il consenso a gran parte della cittadinanza,  soprattutto nei Comuni ove é maggiore la loro presenza, con l’obiettivo di controllare il territorio.

Nel confronti della criminalità organizzata si è aperta una breccia inquietante, denunciano il saggista Isaia Sales e il sociologo Rocco Sciarrone. Secondo Sales : “Oggi nel Nord le mafie ci vivono stabilmente, hanno intrecciato rapporti e relazioni sociali, politiche ed economiche con gli autoctoni senza incontrare particolari difficoltà e senza imbattersi in insormontabili ostacoli in una società mai stata mafiosa o accusata di esserlo stato nel passato….essi riescono facilmente a ripetere le modalità d’azione e ad imporre il loro «metodo» al di fuori dell’ambiente da cui provengono”. Mentre Sciarrone nel libro Mafie del Nord, ha segnalato che  L’espansione nelle aree non tradizionali non può essere equiparata a una situazione di trapianto, né a una situazione di clonazione e neppure a una di mera esportazione della mafia originaria. Contano molto più l’«accoglienza» e l’«ospitalità» ricevute nel contesto di arrivo”. Ancora: Altri fattori di contesto riguardano il grado di attenzione e di reattività della società civile, in particolare la presenza di associazioni che si attivano e mobilitano contro il rischio di infiltrazioni mafiose”.  

Tanti gli episodi inquietanti che le più rilevanti inchieste giudiziarie nel Nord Italia (ricordiamo fra le più importanti, “Infinito” a Milano, “Minotauro” a Torino, “Aemilia” nel reggiano) hanno portato alla luce negli ultimi anni.

In special modo per i politici, con frequenti intercettazioni di contatti fra deputati nazionali e boss locali per convogliare voti e appalti. Molteplici i rapporti ‘ndrangheta -politica accertati dalla magistratura a livello di elezioni locali, regionali e nazionali, per acquisire lavori, nomine e incarichi pubblici o aggiudicarsi un assessorato di peso, come dimostrano le ricorrenti condanne di amministratori ed esponenti politici e lo scioglimento per mafia di vari comuni.

Con l’aggiunta di sempre più diffusi episodi di corruzione nell’ambito delle amministrazioni comunali operati dalle cosche per ottenere licenze, modifiche di piani regolatori, piani di lottizzazione e favori vari.

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Giovanni Melillo

Emblematica in proposito l’analisi dei rapporti mafia-politica tracciata dal Procuratore Nazionale, Giovanni Melillo, in un’intervista rilasciata a La Stampa il 28 aprile 2024 : “Diffusi, disincantati e pragmatici. Le organizzazioni mafiose sono indifferenti al colore degli interlocutori politici che soprattutto a livello locale, in cambio di finanziamenti e sostegno elettorale, si offrono di dare rappresentanza e tutela agli interessi delle reti d’impresa che agiscono per conto di quelle organizzazioni».

Impressionante, poi, la superficialità con cui molti professionisti scelgono di schierarsi con i mafiosi. Fra i tanti, alcuni esempi di notevole impatto: la consulente finanziaria, poi condannata per concorso esterno in associazione mafiosa, che si emozionava nel ricevere la visita del potente boss ‘ndranghetista e lo comunicava telefonicamente con orgoglio; le avvocatesse che curavano gli interessi economici e finanziari del clan, gestendo i conti correnti in Svizzera dei figli dei boss o fungendo da prestanome per aziende e beni patrimoniali.

Per quanto concerne gli imprenditori, infine, i casi portati alla luce dagli inquirenti sono di numero tristemente elevato. Il sociologo Nando Dalla Chiesa nel libro Passaggio a Nord, ad esempio, ha ricordato che le mafie hanno incontrato al Nord una certa imprenditoria disposta a intrecciare rapporti per i propri interessi e sono stati riscontrati imprevedibili livelli di omertà culturale nonché una crescente domanda di beni e servizi illegali che hanno favorito la colonizzazione di tanti territori impreparati a contrastare le infiltrazioni mafiose.

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Nicola Gratteri

Nel libro Complici e colpevoli, il Procuratore Nicola Gratteri e lo studioso Antonio Nicaso hanno segnalato che l’avanzata al Nord delle mafie ha coinvolto “corpi sociali disposti a scendere a patti per opportunismo, lucro e sostegno elettorale” e che dette relazioni sono “quasi sempre simbiotiche, che presuppongono una reciprocità di interessi e di rapporti continuativi e funzionali”. Significativa l’affermazione che “per troppo tempo si è voluto credere alla “metafora del contagio”, come se le mafie fossero un virus che infettava territori sani” e che “quasi sempre a favorirne l’insediamento sono stati i contesti economici e politici locali, il silenzio, la colpevole sottovalutazione di chi avrebbe dovuto denunciarne la presenza, ma soprattutto il sistema di accordi illeciti, su base corruttiva, tra imprenditori, esponenti politici e mafiosi”.

In una intervista televisiva Gratteri, ha in particolare specificato che  “Le mafie sono al nord perché sono venute ad offrire forza lavoro in nero, smaltimento di rifiuti in nero e costruzione di opere pubbliche con ribasso del 30-40 per cento. Quindi c’è stato un abbraccio tra gli imprenditori mafiosi del Sud e gli imprenditori ingordi del Nord”, i quali pensavano di “arricchirsi ulteriormente”. In pratica, la presenza della ‘ndrangheta nelle regioni settentrionali si è accresciuta perché un sistema economico senza più etica morale lo ha permesso.

Il Procuratore Nazionale Giovanni Melillo, in relazione ai rapporti fra mafie e imprenditoria al Nord, ha ricordato che i proventi del traffico di cocaina vengono riversati “negli affari apparentemente leciti o negli affari illeciti che godono di vasta condivisione sociale, perché si realizzano con la partecipazione di imprese e professionisti che mafiosi non sono, ma che parlano lo stesso linguaggio dei mafiosi, essendo gli uni e gli altri alle prese con le stesse false fatturazioni, le stesse frodi carosello, le stesse indebite compensazioni fiscali, gli stessi fallimenti pilotati e i medesimi canali di riciclaggio dei relativi proventi”.

Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra
Alessandra Dolci

In parole povere, come ha evidenziato la Procuratrice aggiunta e coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Alessandra Dolci, “fino a quando gli ‘ndranghetisti svolgevano traffici di droga o altre attività criminali erano visti dal contesto sociale come dei criminali. Una volta avviata l’attività imprenditoriale, pur se al limite della legalità, la percezione del disvalore delle loro condotte é venuto meno.”

Questa visione “tollerante” ha consentito a un numero non esiguo di imprenditori di instaurare rapporti con le cosche territoriali per potere agire  in un sistema economico parallelo totalmente illegale: acquistare crediti di imposta fittizi per evadere l’Iva; ottenere  protezione per battere la concorrenza settoriale; sollecitare l’incendio o il danneggiamento di mezzi ed aziende rivali; chiedere il recupero di crediti verso clienti, con modalità ritenute più efficaci di quelle legali; acconsentire ad emettere fatture false nei confronti di aziende controllate dalla criminalità per agevolare il riciclaggio di denaro; ottenere l’irregolare licenziamento di dipendenti e la contestuale sicurezza, derivante da decisi interventi esterni, che l’interessato avrebbe rinunziato ad adire vie legali; e via dicendo.

Moltissimi i casi di aziende fallite dopo essere state svuotate del patrimonio dai nuovi soci. Clamoroso quanto accaduto, alcuni anni fa, prima di Expo 2015, ad uno dei maggiori gruppi imprenditoriali del Nord operante nel settore delle costruzioni e nel movimento terra, in grado di ottenere grossi lavori e con ben 60 cantieri attivi. Per problemi finanziari, accettò l’aiuto economico di personaggi sospetti finendo sotto il controllo di diverse e potenti ‘ndrine settentrionali. Con il passare del tempo e i costi altissimi da sopportare (fra cui il leasing di lussuose autovetture per i soci), inevitabilmente sopravvenne il fallimento, la perdita dell’impiego per oltre 150 lavoratori e la condanna (anche per l’imprenditore) al termine del processo.

Pure i cittadini, spesso, dimostrano di sapersi adeguare alla presenza delle mafie nel proprio territorio. In un recente processo svolto nel Nord Ovest, in udienza, uno degli affiliati alla cosca  “locale” ha dichiarato che i concittadini avevano ben compreso di avere a che fare con un sodalizio criminoso e si erano sottomessi per paura, accettando che a comandare fossero gli ‘ndranghetisti.Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra

A conferma, alcuni episodi veramente illuminanti: la donna che, subìto un furto in casa, invece di denunziarlo ai Carabinieri si era rivolta ai mafiosi per riottenere quanto sottrattole; la ormai abituale risoluzione di contrasti contrattuali e di natura personale mediante la richiesta di “interventi efficaci”.

Scenari ed episodi che consentono di confermare che le mafie sono riuscite e replicare, in molti territori settentrionali, gli abituali comportamenti da sempre attuati nelle zone di origine, in una costante espansione sempre meno contrastata dalla società e dalla politica.

Citando una frase cult del famoso giornalista Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: può il Paese lasciare solo a magistratura e forze dell’ordine, nonché all’associazionismo, l’onere di contrastare materialmente o culturalmente le mafie, mentre il resto della società dimostra il suo disinteresse all’osservanza delle leggi, autocondannandosi ad una progressiva mafiosizzazione?

A ognuno di noi la risposta. Mafiosizzazione: l'inarrestabile espansione criminale di cosa nostra

 

 

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Antonio Borgia
Antonio Borgia
Generale in pensione della Guardia di Finanza, ha prestato servizio in Sicilia dal 1979 al 1996, nel pieno della guerra di mafia e delle stragi di cosa nostra. Ha collaborato con diversi magistrati a Trapani e Palermo quali Dino Petralia, Ottavio Sferlazza, Carlo Palermo ed i Pm della DDA di Palermo allora guidata dal Procuratore Giancarlo Caselli, in particolare Alfonso Sabella. Attualmente é editorialista della Gazzetta di Asti.
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