Per la Magistratura il the day after del Palamaragate è peggio del giorno prima. Un vortice che si avvicina sempre più alla dimensione di un buco nero in grado di trascinare nelle bolgie e nei cerchi danteschi dei ruffiani, ipocriti, barattieri, fraudolenti, seminatori di discordia e traditori, l’intero sistema giudiziario.
Più che l’espulsione scontata e inevitabile dall’Associazione nazionale magistrati del suo ex Presidente, fanno impressione il tutto contro tutti dei titoli e delle interviste dei giornali della domenica e il disperato tentativo di Luca Palamara di difendersi accusando.
L’effetto delegittimazione sta già aprendo crepe profonde negli equilibri istituzionali e, senza un immediato reset morale, normativo e regolamentare, come sollecitato in ben tre interventi dal Capo dello Stato, subordinerà la magistratura e la giustizia alla politica.
Un reset che scongiuri soprattutto l’infondata generalizzazione del caso Palamara.
Con conseguenze inimmaginabili. Simili, nella sostanza anche se non più concepibili nella forma, a quanto scrive alle pagine 283 e 284 del suo libro “Ne valeva la pena” Armando Stataro, già Procuratore della Repubblica di Torino. E’ la cronaca ufficiale dell’ inaugurazione dell’anno giudiziario 1940:
“Palazzo Venezia. Nel vasto salone, presso la cui parete di fondo prestavano servizio d’onore i Moschettieri del Duce, si erano schierati in quadrato aperto su un lato di duecento cinquanta alti magistrati, tutti in uniforme del PNF.
La Corte Suprema era al suo completo, col suo Primo Presidente Senatore d’Amelio, il Procuratore Generale Sen. Albertini, i Presidenti di sezione,gli Avvocati Generali e i sostituti. Erano Presenti tutti i primi presidenti e i procuratori generali delle corti d’appello del Regno……
Appena apertasi la porta che immette nella sala del Mappamondo, la figura del Duce – che era seguito dal Ministro Grandi – vi si è inquadrata e la devozione e l’entusiasmo hanno avuto il sopravvento sul fermo costume d’impertubabilità dei magistrati, i quali hanno prorotto in una invocazione altissima.
Il Duce rispose sorridendo e levando romanamente il braccio. Alta risuonò la voce del Ministro di Grazie e Giustizia, il quale ordinò il saluto al Duce. Rimbombò l’ “A noi !” e scoppio’ tonante un’altra manifestazione di devozione, di fede e di entusiasmo.
Il Ministro legge allora il seguente indirizzo: <<La Magistratura fascista vuole dichiararvi Duce che essa si sente consapevole della missione che Voi le avete affidata di custode delle leggi….Il magistrato attua il comando del legislatore e la sua sensibilità politica deve portarlo talvolta oltre i limiti formali della norma giuridica…>>. Dopo la relazione del Ministro interviene il Duce, che così espone la sua concezione sulla posizione istituzionale della Magistratura: << Nella mia concezione non esiste una divisione di poteri nell’ambito dello Stato. Il potere è unitario: non c’è più divisione, c’è divisione di funzioni>>.