Gli analisti delineano il Natale tragico di un eventuale conflitto atomico
Natale rischia di essere celebrato fra Corea e Giappone e in tutta l’area dell’estremo oriente come il più tragico e devastante dei the day after.
Preso atto del reset congressuale del potere in Cina e messe le mani avanti nei colloqui diretti con Xi Jinping, il Premier Giapponese, il Presidente Sud Coreano e forse anche Vladimir Putin, il Presidente americano Donald Trump rientrerà a Washington dalla visita a Tokio, Seul e Pechino pronto a prendere sul serio una delle tante provocazioni di Kim Jong-un.

Non è importante chi darà il via alla prima guerra nucleare della storia. Ma chi sopravviverà. Un’illusione pensare che possa trattarsi di un conflitto atomico limitato e di portata regionale, con effetti contenuti, denuncia in una intervista pubblicata dall’Agenzia AdnKronos l’analista Alexander Gillespie, Professore di diritto internazionale all’Università di Waikato, Nuova Zelanda.
Per Gillespie un potenziale conflitto fra Stati Uniti e Corea del Nord viene fin troppo sottovalutato, soprattutto nella portata. In primo luogo, spiega l’analista, si presume che le difese missilistiche attualmente dispiegate intorno alla Corea del Sud e al Giappone saranno in grado di proteggere i due paesi da missili intercontinentali a breve, medio e lungo raggio lanciati da Pyongyang.
“Le speranze in questo settore – scrive Gillespie – sono supportate dai notevoli risultati di questi sistemi per il monitoraggio e la distruzione dei missili. Gli esempi ben noti in questa area includono i sistemi Aegis e Terminal High Defense, THAAD, contro i missili a medio raggio, che hanno rispettivamente un tasso di intercettazione dell’83% e del 100%. Anche i sistemi di difesa missilistica a breve distanza, come il Patriot, sembrano essere migliorati notevolmente negli ultimi tempi”
Ma anche se questi risultati possono in prima lettura risultare impressionanti, sottolinea il professore, “sono viziati da una serie di considerazioni. Innanzitutto, anche se il tasso di successo per colpire i missili a breve e medio raggio sembra buono, il tasso di successo per la distruzione dei missili intercontinentali è solo di circa il 50%. In secondo luogo, la maggior parte dei test è condotta in condizioni quasi perfette, in cui un obiettivo viene monitorato e distrutto. In terzo luogo – continua Gillespie – l’area di dispiegamento della difesa è piccola”.
L’accademico entra quindi nel dettaglio: “Per il sistema Midcourse Defense americano contro i missili intercontinentali, sono stati dispiegati solo 44 intercettori. Per il THAAD, solo una batteria di 48 missili intercettori è stata dispiegata in Corea del Sud, anche se il sistema di difesa è poi stato implementato con 16 batterie di missili Patriot, ciascuna con 16 lanciatori”.
Che cosa significa dunque tutto questo? Gillespie tira le somme: “Sebbene sostenuti da altre tecnologie anti-missili, sarà questa la prima linea che tenterà di arrestare, nella migliore delle ipotesi, 200 lanciarazzi e tra i 600 e i 1000 missili a breve distanza, e forse altri 100 missili a medio e lungo raggio provenienti dalla Nord Corea”.
Troppo poco, insomma, per contenere quella che potrebbe essere la strategia di attacco di Kim Jong-un in base al suo arsenale: “La Corea del Nord potrebbe lanciare gran parte di questi missili in modo strategico e con grande rapidità per attaccare, sopraffare e ingannare le difese missilistiche. E questo tipo di attacco stravolge le condizioni quasi perfette in cui la maggior parte dei test missilistici sono attualmente condotti”.
La seconda valutazione errata, secondo l’accademico, riguarderebbe l’uso delle altre armi di distruzione di massa che la Nordcorea potrebbe possedere, ossia quelle chimiche e biologiche: “Sebbene – afferma Gillespie – la comunità internazionale abbia accettato di proibire le armi chimiche e biologiche fin dal 1925, ed ha poi aggiornato questi divieti per le bioweapons nel 1972 e per le armi chimiche nel 1993, non è affatto chiaro se la Corea del Nord si consideri legata a queste condizioni. Inoltre, pur avendo firmato l’accordo del 1925, il Paese non è un firmatario della convenzione del 1993, e sebbene abbia aderito alla convenzione del 1972, è rimasto ben al di sotto delle aspettative rudimentali in questo settore”.
Ma quali armi chimiche potrebbe possedere il regime? Il professore ha pochi dubbi: “La prova più importante di ciò che possiedono è da rintracciarsi nell’assassinio in Malesia di Kim Jong-nam. Il fratellastro del dittatore nord coreano venne ucciso con il gas nervino VX il più letale mai creato, cento volte più del Sarin. Quella è stata l’unica evidenza dopo decenni di speculazioni sulla fabbricazione di armi chimiche in Corea del Nord”.
“Le attuali stime della Corea del Sud – spiega ancora Gillespie – suggeriscono che il Nord disponga di una scorta tra le 2.500 e le 5.000 tonnellate di armi chimiche. Le visite ufficiali di Kim Jong-un ad apparentemente ininfluenti aziende di pesticidi e altri laboratori della Corea del Nord potrebbero indicare per esempio l’esistenza di un programma segreto di armi biologiche”, sottolinea.
“Attualmente ci sono vuoti di conoscenza sull’argomento – ammette Gillespie -. Non è chiaro se dispongano di sistemi efficaci di erogazione, che potrebbero essere missili, droni, aerei e agenti umani, e se dispongano di misure di difesa tali per garantire che gli eventuali agenti patogeni non si ritorcano contro la propria popolazione”.
Ma il fatto che si abbiano scarse informazioni su un Paese che ha costantemente sorpreso la comunità internazionale con i progressi nella tecnologia nucleare e missilistica, “non dovrebbe in nessun caso – ammonisce il docente – essere preso come prova che la Corea del Nord non disponga di armi chimiche efficaci”.
La conclusione? “Non esistono difese completamente efficaci per proteggere Corea del Sud, Giappone o altri paesi nel caso la Corea del Nord decidesse di entrare in guerra”. Con conseguenze che potrebbero essere inaspettate e più devastanti del previsto.