PAGINE
Rubrica di critica recensioni anticipazioni 
by Antonino Cangemi
E’ successo più volte che i giurati di Stoccolma abbiano emesso verdetti inattesi. Limitandoci ai Nobel assegnati a italiani, destò clamore l’avere riservato il più prestigioso dei riconoscimenti a Grazia Deledda nel ’26, a Quasimodo (e non a Montale o a Ungaretti) nel ’59, e nel ’97 a Dario Fo, drammaturgo atipico ed estraneo ai salotti letterari. L’8 ottobre prossimo, quando sarà annunciato il Nobel per la Letteratura in una cerimonia online causa emergenza Covid-19, potrebbe assistersi a un’altra sorpresa.
Se si vuole, più clamorosa delle precedenti, ma auspicabile. Sì, perché tra i candidati al Nobel per la Letteratura vi è una scrittrice siciliana, Giovanna Giordano, in verità poco nota in Italia, se non agli addetti ai lavori, e però di originale talento, facile da cogliere scorrendo la sua non vasta produzione e leggendo anche solo alcune sue pagine.
E’ stata una delle quattro maggiori università della Svezia a proporla alla Commissione dell’Accademia.

Non senza lo stupore e l’incredulità della scrittrice, nata a Milano da genitori siciliani e siciliana doc, con il padre Nicola, messinese, che è stato un chimico di notorietà internazionale. La Giordano vive a Catania, dove insegna Estetica all’Accademia delle Belle Arti e collabora con le pagine culturali de ‹‹La Sicilia››.

Intensa la sua attività giornalistica, con tanti reportage dall’estero, note di costume, recensioni, al punto da essere stata insignita, nel 2017, del Premio Internazionale di Giornalismo ‹‹Taormina Media Award André Gide››.
E’ ‹‹una siciliana di mare››, come lei stessa si definisce. Nei suoi romanzi sembra risuonare l’eco del monito dell’Ulisse dantesco: ‹‹Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza››. ‹‹Una danza di delfini accompagnò la mia partenza dalla Sicilia agli Stati Uniti: danzavano i delfini felici e il mare blu schiumava in azzurro, scosso dalle piume››, si legge nelle pagine iniziali di ‹‹Trentaseimila giorni››, pubblicato da Marsilio nel ’96.
E’ la storia di una donna che vive cent’anni lasciando la Sicilia per il ‹‹Nuovo Continente››, dove s’inventa i mestieri più strani in un’esistenza ricca di gioie e dolori, senza mai arrendersi forte della sua inesauribile curiosità.
Quel romanzo l’ha introdotta nell’editoria che conta, ma prima, oltre ad avere dato alle stampe una silloge di poesie, aveva esordito nella narrativa con ‹‹Cina cara io ti canto››, finalista al Premio Calvino (a parteciparvi la spronò Bufalino) nel ’91.
Determinante per il cammino letterario di Giovanna Giordano è stato l’incontro, nel ’93 a Mondello, con Fernanda Pivano che l’ha definita ‹‹erede della Magna Grecia›› e che in una nota che accompagna il suo romanzo ‹‹Un volo magico›› – la storia di un aviatore che da Stromboli si avventura in Etiopia vivendo da postino le magie dell’Africa e gli orrori della guerra – scrive: ‹‹Le pagine sono sostenute dal senso del meraviglioso e da un fiducia nella vita che sopravvive malgrado tutto, separazioni, incendi, disfatte e in ultimo il campo di concentramento inglese in Kenia››. A ‹‹Un volo magico›› (Marsilio’98, tradotto in Germania) ha fatto seguito, nel 2004, ‹‹Il mistero di Lithian››, presentato al Premio Strega. Ancora una volta una storia di peregrinazioni per il mondo con Gerusalemme in primo piano, in cui il gusto per il fantastico si coniuga al dramma della guerra con tanti richiami, anche nel lessico, alla Sicilia.
Con ‹‹Trentaseimila giorni›› e con ‹‹Il mistero di Lithian›› la Giordano ha vinto il ‹‹Premio Racalmare Leonardo Sciascia››. Una soddisfazione particolare per la scrittrice, molto legata all’autore de ‹‹Il giorno della civetta››, al quale, giovanissima, inviava cataloghi d’arte (la Giordano è anche saggista e curatrice di diversi cataloghi) che, per disguidi postali, non giunsero mai a destinazione.
