Dietro le quinte della guerra di Putin all’Ucraina, i mercati internazionali, Pechino e l’informazione stanno assumendo un ruolo sempre più incisivo, anche rispetto all’esito dello spietato colpo di maglio dell’invasione russa.
Intanto per la stretta connessione: l’economia e la finanza, il gigantesco motore produttivo della Cina e i media sono da qualche decennio i tre aspetti portanti della globalizzazione. In secondo luogo per la loro essenzialità nei confronti dello sviluppo non soltanto economico, quanto sociale, scientifico e culturale dei singoli paesi.
Il big bang del conflitto scatenato da Putin contro Kiev, con l’agghiacciante corollario della esplicita minaccia nucleare, stanno rapidamente spostando – non si sa ancora bene dove e quanto – l’asse dell’interscambio commerciale mondiale.
Se la guerra si trascina per mesi e la resistenza ucraina si trasforma in guerriglia o, peggio ancora, qualora lo scontro armato si estendesse ad altri paesi, l’ enorme capacità produttiva cinese che alimenta l’economia europea e americana, rischia infatti di incepparsi per la contrazione della domanda e dei consumi. Parallelamente alla fase depressiva di borse, risparmio, flussi finanziari e interbancari.
Sull’onda profondamente coinvolgente della morte in presa diretta di un intero popolo e dell’eroismo degli ucraini, l’informazione al contrario si sta già sviluppando in maniera esponenziale trasformandosi nella colonna sonora e immaginifica dello sdegno e della mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale contro Putin e l’esercito russo.
Il che determina il totale ostracismo nei confronti non soltanto di Mosca, ma anche degli alleati del Cremlino. Oggi la Bielorussia e domani, se non si dissocia, la Cina.
Per Pechino il ripristino della cosiddetta via della seta con l’Europa, in particolare proprio con i paesi dell’est, destinatari di buona parte dei prodotti cinesi e la normalizzazione del mercato energetico, dal petrolio, al gas, alle materie prime, è essenziale per consentire la necessaria costante crescita di tutti i settori industriali.
Lo sviluppo dell’industria cinese, definita la “fabbrica del mondo”, risente tuttavia ancora dello statalismo e del dirigismo comunista, della carenza di competenze, materie prime, componenti avanzati e brevetti, e per evitare di implodere deve mantenere un andamento direttamente proporzionale all’aumento esponenziale dei ritmi produttivi. Col rischio di accumulare merci invendute, di sbancare e per giunta di vedersi soppiantare dalla concorrenza di americani ed europei.
Secondo gli analisti delle multinazionali e dei grandi fondi sovrani, che si basano sulle elaborazioni statistiche e sul business, la vittoria sul campo in Ucraina di Putin per la Cina sarebbe controproducente, perché sarebbe seguita da una guerriglia mordi e fuggi, acuirebbe le tensioni internazionali e paralizzerebbe ulteriormente i mercati. Economicamente Pechino sarebbe in particolare persino più interessata dell’Europa e degli Stati Uniti ad una rapida soluzione pacifica della crisi. Anche a prescindere dal destino di Putin. Anzi, il ripristino degli interscambi e delle rotte commerciali nonché la ricostruzione post bellica, rilancerebbe ai massimi livelli la produzione cinese, già provata dai due anni di pandemia.
Con buona pace di Putin, starebbero sospirando a Pechino, anche l’informazione modificherebbe i giudizi e le ricorrenti accuse al regime comunista. Giornalisti e media non potrebbe non riconoscere e sottolineare il decisivo ruolo svolto dalla Cina per interrompere l’escalation della guerra.
Riconoscimento dei media e dell’opinione pubblica, viene fatto presente nell’entourage di Xi Jinping e negli ambienti del Comitato centrale del partito comunista cinese, che gioverebbe all’avvio di una “unificazione” concordata e indolore di Taiwan, che a differenza dell’Ucraina fa parte integrante, geograficamente e politicamente, della Cina.
