Il censore censurato. Pier Camillo Davigo è stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione, pena sospesa, perché ritenuto colpevole di rivelazione di segreto d’ufficio.
L’impatto della sentenza della prima sezione penale del Tribunale di Brescia non lascia alternativa interpretativa: la condanna per rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta loggia massonica Ungheria di Davigo, ex componente del Csm e già Pubblico Ministero di spicco del pool di mani pulite della Procura di Milano, determina diversi effetti collaterali. Ancor più evidenti se si ripercorre l’iter processuale.
La pubblica accusa aveva chiesto la condanna a un anno e quattro mesi (pena sospesa) dell’imputato per aver acquisito dalle mani del Pm milanese Paolo Storari – già assolto in via definitiva in un altro processo- i verbali segreti di Piero Amara, in cui l’ex avvocato dell’ Eni si affannava a svelare l’esistenza di una presunta loggia segreta massonica.
Dichiarazioni rese in cinque interrogatori, tra il 6 dicembre 2019 e il 11 gennaio 2020, nell’inchiesta sul cosiddetto “falso complotto Eni”, di cui Storari era uno dei titolari insieme alla collega Laura Pedio, Procuratore aggiunto di Milano.
Storari consegnò a Davigo, nell’abitazione milanese del magistrato, una chiavetta con gli atti secretati, documenti in word e non firmati, per poter denunciare una presunta inerzia a indagare da parte dell’allora vertice della procura meneghina sull’ipotetica loggia massonica di cui avrebbero fatto parte personaggi delle istituzioni e delle forze armate, oltre che componenti del Csm in carica in quel momento.