by Augusto Cavadi
Dopo una settimana di lutto cittadino, Biagio Conte – autodichiaratosi missionario francescano – è stato accompagnato al cimitero di Palermo con una partecipazione imponente di autorità civili, Vescovi, preti, e soprattutto di popolazione di ogni estrazione sociale, etnica e culturale.
Solo uno snobismo ingiustificabile può negare che vicende come questa tocchino profonde corde emotive e pongano domande non eludibili.
Quando Biagio Conte, restituito ai genitori grazie alla mediazione di una nota trasmissione televisiva, tornò alla sua città con l’inseparabile cane e il caratteristico bastone, venne a trovarci al Centro sociale “S. Francesco Saverio” che avevamo da pochi anni aperto nel quartiere noto soprattutto per il mercato di Ballarò.
Come facevamo con tutti gli aspiranti volontari, abbiamo sinteticamente presentato le linee essenziali del nostro statuto e della nostra pedagogia. Del tutto legittimamente, fratel Biagio non si è ritrovato su quasi nessun punto del nostro programma: né sulla impostazione collettiva (per cui le decisioni venivano assunte assemblearmente, senza leaderismi verticistici); né sull’ispirazione a-confessionale (per cui il Centro era aperto a una pluralità di storie ideali e ideologiche); né sulla finalità principale di tipo ‘politico’ (per cui ritenevamo di dover supplire le istituzioni solo temporaneamente e, ben al di là di ogni logica assistenzialistica, di dover sollecitare la gente del quartiere a esigere che le amministrazioni pubbliche attivassero i servizi essenziali per i bambini, le donne, gli anziani e i disoccupati).
Così le nostre strade si snodarono in parallelo, sia pure a un solo chilometro di distanza, ovviamente senza polemiche, anzi con occasionali cordialissimi incontri fra persone accomunate dal fronte della solidarietà.
A questo punto della storia più che trentennale si impone un primo bilancio che non può non basarsi su una distinzione essenziale: il punto di vista del vissuto esistenziale, soggettivo, e il punto di vista pubblico, oggettivo.
Dal punto di vista delle opzioni individuali, nessuno ha il diritto di contestare la predilezione di fra Biagio per la dimensione simbolico-profetica: se, per denunciare le difficoltà economiche in cui doveva accogliere barboni e immigrati senza fissa dimora, girava a piedi l’Italia con una grande croce di legno o proclamare giornate di digiuno, nessuno poteva in buona fede accusarlo di esibizionismo.
La sua condivisione con la povertà dei più poveri era così totale da avallare l’autenticità delle sue azioni clamorose. Così come nessuna persona di buon senso potrebbe negare che negli stessi anni, a Palermo, ci sono stati preti e laici di ogni appartenenza culturale che, sia pure optando per stili di vita più discreti, meno appariscenti, hanno speso il meglio delle proprie energie per combattere il sistema di dominio mafioso, lo sfruttamento della prostituzione, la diffusione delle droghe pesanti, l’ignoranza dell’alfabeto civico: insomma, come si usa dire nel Terzo Settore, per insegnare a pescare più che per distribuire pesci agli affamati.
Se dal punto di vista delle coscienze, delle intenzioni interiori, nessuno può osare graduatorie di ‘santità’ (religiosa o laica), dal punto di vista storico-sociale non si può tacere qualche considerazione critica riguardante il passato e soprattutto il presente e il futuro della preziosissima opera di fra Biagio.
Ai suoi funerali sono accorsi a decine esponenti politici di ogni schieramento: anche di quegli schieramenti che da anni sono impegnati a bloccare con ogni mezzo, lecito o meno, gli arrivi di immigrati in Sicilia; che praticano politiche clientelari e sperperano in maniera scandalosa il denaro pubblico; che non hanno mosso un solo dito per sostituire – o per lo meno integrare – l’azione emergenziale di Biagio e dei suoi collaboratori con iniziative istituzionali, sistemiche, stabili nel tempo.
E’ eccessivo sospettare che tanto concorso di autorità che, in questi decenni e ai nostri giorni, hanno ignorato i drammi di cui Biagio si è fatto carico come ha potuto, sia solo l’ostentazione di una pelosa, strumentale, solidarietà ?
E’ eccessivo temere che l’esaltazione di chi ha aiutato i poveri serva, più o meno consapevolmente, per distrarre l’attenzione da quelle (sempre più rare, fioche e isolate) voci che a Palermo e in Sicilia chiedono il superamento delle condizioni strutturali di povertà?
Solo le decisioni dei prossimi mesi diranno chi è accorso al feretro del missionario solitario per sposarne, nell’ambito delle proprie competenze, la causa e chi ha ipocritamente approfittato della commozione generale per darsi una spolveratina alla coscienza.