Paese non credibile senza la verità su Moro
Colpi di Stato concentrici per un delitto politico su commissione. Per il Magistrato Ferdinando Imposimato, recentemente scomparso, giudice istruttore dell’inchiesta sul blitz di via Fani e autore di libri come “La Repubblica delle stragi impunite” e “ I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, Aldo Moro venne materialmente rapito e assassinato dalle Brigate Rosse, ma non soltanto da loro, sulla base di precisi imput e coperture di protagonisti rimasti sempre nell’ombra.
Tesi e ricostruzioni che, fra le molteplici inchieste giornalistiche, centinaia di libri di rivelazioni e di denuncia, hanno trovato ampi riscontri soprattutto nelle 273 pagine della relazione finale, approvata all’unanimità, della Commissione Parlamentare d’inchiesta, presieduta dall’on. Giuseppe Fioroni.
Inchiesta parlamentare che prova come e perché l’assassinio di Aldo Moro rappresenti uno dei retroscena più tragici e inconfessabili della prima Repubblica.
Una verità sconvolgente che delinea un nitido contesto storico. Un contesto che attende soltanto di essere illuminato dalla luce della giustizia, per ricostruire in quali circostanze il Paese venne inconsapevolmente o meno attraversato da un sostanziale colpo di Stato, travisato da attentato terroristico.
Un colpo di Stato eterodiretto e che con un gioco di specchi si sarebbe avvalso delle stesse strutture dello Stato, grazie all’attivazione di protocolli e imput internazionali in grado bypassare Parlamento e forze politiche.
Per 40 anni sul caso Moro è stata imposta una sorta di verità ufficiale che non ha lasciato trapelare fino a che punto la strage di via Fani e i 55 giorni del martirio del leader della Dc abbiano precipitato l’Italia in un buco nero della democrazia.
Questi in sintesi i punti cruciali accertati dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso Moro e che ribaltano la verità giudiziaria finora accreditata:
- Modalità dell’esecuzione: la perizia del Ris dei Carabinierismentisce la versione delle BR. Moro non è morto sul colpo, non era steso nel portabagagli della Renault rossa e il numero di colpi non è quello che dicono i brigatisti. Moro venne colpito a morte da distanza ravvicinata, mentre era seduto a busto eretto, da raffiche esplose da una Skorpion e da una Walther. Solo dopo fu trasferito agonizzante nel bagagliaio della R4 rossa, all’interno della quale spirò.
- L’eccidio di via Fani vede almeno 20 persone impegnate sulla scena del delitto mentre le Brigate Rosse, nelle evoluzioni spesso non veritiera delle loro ricostruzioni, sono arrivate al massimo a 9
- In via Massimi 9 vi era una palazzina, di proprietà Ior, la banca vaticana, frequentata da alti prelati, sede di società vicine alla Nato, finanzieri libici e persone vicine alle Brigate rosse. Prospero Gallinari vi rimase nascosto dall’ottobre al novembre del 1978. “Il complesso edilizio che – si legge nella relazione finale della Commissione d’inchiesta – potrebbe essere stato utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista.
- L’appartamento romano del prof. Giorgio Dario Confortodove il 29 maggio del 1979 vengono arrestati gli esponenti delle Brigate Rosse, Valerio Morucci e Adriana Faranda, era un crocevia di vari servizi segreti di quegli anni. In particolare del Kgb e della Cia, ma anche dello Ior vaticano allora guidato da Mons. Paul Marcinkus. Il prof. Conforto sarebbe stato inoltre contemporaneamente un agente del Kgb, della Cia e anche del Sismi.
- Il fatto che a distanza di tanti anni le Br non abbiano mai indicato quale sia stata la vera prigione di Moro vuol dire che probabilmente nascondo una verità relativa al primo livello del rapimento del leader Dc, perché indicando la vera prigione rivelerebbero delle corresponsabilità impronunciabili.
- In via Licinio Calvo, nei pressi di via Fani, c’era un garage di riferimento delle Br, dove furono nascoste auto dell’agguato
“Certamente l’obiettivo perseguito da Moro di superamento della conventio ad excludendum nei confronti del Pci aveva molto nemici dentro e fuori dall’Italia e in particolare preoccupava, per ragioni opposte ma convergenti, sia il fronte militare atlantista sia i vertici comunisti di Mosca.” Sottolinea l’on Federico Fornaro, segretario della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro e attuale capogruppo alla Camera di Liberi e Uguali.
- Si può parlare di colpi di Stato concentrici per uccidere Moro e mantenere il segreto sull’operazione ?
No, sebbene ci siano stati apparati dello Stato che non hanno fatto tutto per tutelare la sicurezza di Moro prima del rapimento e soprattutto per la sua liberazione nei 55 giorni di prigionia. Vi sono state lacune investigative non facilmente spiegabili quali, ad esempio, solo per citare due casi, il grave ritardo nell’esame dei reperti del covo di via Gradoli e la segnalazione con il conseguente arresto di alcuni brigatisti della tipografia romana delle Br, in cui era solito recarsi Moretti anche durante il sequestri.
- E’ ancora possibile risalire ai responsabili?
I lavori della Commissione Moro presieduta dall’on. Fioroni dimostrano che è possibile fare ancora passi in avanti nonostante il passare degli anni. C’è ancora chi potrebbe dare un contributo fondamentale alla ricerca della verità, se solo lo volesse.
- Quanto e come sono mancati l’ apporto politico e l’esempio civile di Aldo Moro in questi 40 anni?
L’Italia dopo il rapimento e la morte di Moro non è stata più la stessa: il corso della storia è stata deviato e non certo nella direzione immaginata dai brigatisti. Alla politica italiana è venuto a mancare un punto di riferimento fondamentale, un uomo del dialogo e un difensore della democrazia e della Costituzione repubblicana.