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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Come per le nostre auto e le nostre moto, un ‘tagliando’ di controllo per le nostre vite non sarebbe male. Per la dimensione biologica i più prudenti fra noi lo fanno già con qualche forma di check-up medico: ma per la nostra dimensione esistenziale?
I mesi estivi – o almeno le poche settimane che riusciamo a ritagliarci per le ferie – sarebbero un’ottima occasione. Se non la sprecassimo in banalità che ci lasciano un retrogusto d’amaro.
Lo so. Non è facile nella temperie culturale attuale. Sino a mezzo secolo fa ognuno di noi aveva dei paradigmi di riferimento rispetto ai quali chiedersi se stava spendendo saggiamente il breve tempo a disposizione dalla culla alla tomba: paradigmi teologico-religiosi per alcuni, ideologico-politici per altri, filosofico-etici per altri ancora…
Adesso invece sembra del tutto attuatasi la constatazione di Ionesco resa celebre da Woody Allen: “Dio è morto, Marx è morto e – se devo essere sincero – neanch’io mi sento molto bene”.
Per parafrasare Malraux, siamo la prima generazione che sbarca sulla Luna, ma senza aver capito che cosa ci stia a fare sulla Terra. Non ci resta, allora, che navigare a vista?
Forse – tramontata l’epoca dei progetti di vita pre-confezionati, prête-à-porter – tocca concentrarsi a darsi un progetto di vita forgiato a nostra misura: un progetto per essere sufficientemente realizzati. Per avere un’esistenza serena o, meglio, poiché la serenità non dipende solo da noi, per essere degni di una vita serena.
Un simile progetto non può non partire da una condizione basilare: regalarci mezz’ora al giorno di silenzio per stabilire che cosa per noi ha valore di fine, di scopo, di méta e che cosa ha valore di mezzo, di strumento, di via. Una volta stabilito – almeno provvisoriamente – che cosa per noi è un dato assoluto, irrinunziabile, e cosa è invece relativo, rinunziabile, si tratta di predisporre un piano di vita conseguente.
Tra gli obiettivi universalmente condivisibili le principali sapienze della storia umana ne hanno indicato almeno due.
Il primo è la conoscenza quanto più articolata e penetrante possibile del reale: dell’universo fisico (scienze naturali), dell’universo umano (scienze antropologico-sociali), di tutto ciò che – in qualche modo – è (letteratura e altre arti). Come non si stanca di ribadire Morin, si tratta di tematizzare le varie discipline, ma anche di connetterle reciprocamente e, soprattutto, di guadagnare una prospettiva globale teorico-pratica che chiamiamo saggezza.
Proprio la saggezza maturata ci insegna che la conoscenza del vero, per quanto necessaria, non è sufficiente né per il singolo né per i popoli: essa, se autentica, sollecita a quell’atteggiamento di apertura relazionale che, con una parola inflazionata, chiamiamo ‘amore’.
Amore erotico che, secondo il testo platonico, parte dal trasporto verso la bellezza corporea che attesta la nostra costitutiva indigenza, incompletezza; amore di amicizia che, secondo il testo aristotelico, è il rapporto paritetico della reciprocità sulla base di interessi e, meglio ancora, di valori condivisi; amore di donazione consistente nella solidarietà attiva verso qualsiasi vivente in sofferenza (anche se, molto probabilmente, incapace di ricambiare il dono) e la cui espressione più preziosa è l’impegno socio-politico. Queste tre forme dell’amore non vanno concepite come gradini di una stessa scala perché tutte sono egualmente essenziali e, nel concreto dell’esistenza, si supportano vicendevolmente.
Nella tensione verso l’esperienza della conoscenza sinottica e dell’amore integrale l’associarsi a gente banale è una scelta tanto infelice quanto, al contrario, risulta azzeccata la decisione di mettersi in compagnia di persone motivate che possono sostenerci nei momenti inevitabili di stanchezza e di scoraggiamento.