Più dubbi e interrogativi che certezze. Washington Post, New York Times, Los Angeles Times e la maggior parte della stampa Usa è quanto meno scettica sulle anticipazioni riguardanti le conclusioni dell’ indagine del Procuratore indipendente Robert Mueller sul Russiagate, cioè sui rapporti fra il Presidente Donald Trump e la Russia di Vladimir Putin.
Perché questo scetticismo? I fatti: domenica il Procuratore Generale degli Stati Uniti William Barr ha sintetizzato la relazione finale dell’ inchiesta Mueller sulla presunta Trump – Russia connection. Sintesi nella quale Barr ha sostenuto che Mueller non ha trovato prove sufficienti di una collusione tra il comitato elettorale di Trump e la Russia per interferire sulle presidenziali del 2016.
Trump dunque pienamente scagionato ? E’ quello che la Casa Bianca e lo stesso Presidente stanno amplificando su tutti i media del mondo, ma obiettano i giornalisti dei più prestigiosi quotidiani americani, in realtà nel merito non si sa ancora niente del rapporto Mueller.
Tutto quello che si conosce – denunciano in particolare Washington Post, New York Times e Los Angeles Times – è un riassunto di quattro pagine redatto dal ministro della Giustizia di Trump e dal suo vice Rod Rosenstein.

Per legge il rapporto Mueller è stato consegnato al dipartimento della Giustizia in via confidenziale e anche se Barr si è impegnato a rendere pubblico la maggior parte possibile del rapporto, non è chiaro quando e come succederà.
La parola decisiva sarà quella del Congresso. La legge infatti vieta di diffondere le informazioni raccolte da un Gran Giurì, cioè una particolare commissione d’inchiesta dell’ordinamento americano. Solo il Congresso potrebbe rimuovere questo divieto, come quando nel 1974 un tribunale di Washington su richiesta del Congresso autorizzò che venissero pubblicate le informazioni ottenute dal gran giurì dello scandalo Watergate. Informazioni che provocarono le dimissioni dell’allora Presidente Richard Nixon.

Mentre Donald Trump canta vittoria, proclama la sua «totale e completa assoluzione» e rilancia la candidatura per presidenziali del 2020, in Congresso i Democratici chiedono di saperne di più e la stampa si affanna a spiegare che la sintesi di Barr è quanto meno parziale, se non sospetta. Ma la valanga mediatica messa in moto dalla Casa Bianca per il momento sovrasta tutto e tutti.
Tuttavia, se dai rapporti dell’intelligence, dalle rivelazioni dell’avvocato Cohen o dalle indagini su Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale di Trump già condannato per frode fiscale, dovessero emergere altre verità dal rapporto Mueller, prima o poi verranno inesorabilmente fuori e allora l’attuale euforia autoassolutoria dell’amministrazione in carica, venata persino da vittimismo, potrebbe rivelarsi gravemente controproducente.