Caracas e nuvole. Nuvole di gas lacrimogeni che preannunciano tempesta. Se la situazione dovesse precipitare si teme un bagno di sangue.
Il leader dell’opposizione e autoproclamato Presidente ad interim del Venezuela, Juan Guaidò, ha invitato i venezuelani a scendere in piazza per quella che ha definito come la “fase definitiva dell’ operazione libertà”.

La giornata si prospetta decisiva: da Washington a Londra a Bruxelles ci si attende una svolta dei vertici militari. Senza il sostegno delle forze armate il contestato Presidente Nicolas Maduro sarà costretto a lasciare il paese. Una fuga tanto attesa quanto, sembrerebbe, già predisposta con aerei pronti al decollo dai pretoriani del regime post chavista.
Dietro le quinte della rivolta di popolo invocata da Guaidò, sarebbero in corso trattative sulle prospettive e le garanzie che in attesa di nuove elezioni presidenziali il governo transitorio assicurerebbe ai militari. Economicamente e istituzionalmente il tempo è scaduto da mesi. Il Venezuela è praticamente imploso e risollevarlo non sarà facile. Per anni saranno essenziali l’apporto finanziario e gli aiuti internazionali.
L’ostinazione oltre ogni limite di Maduro fa riflettere sul cinismo di chi per una contrapposizione fra superpotenze, gioca sulla pelle dei venezuelani una partita a scacchi che rischia di sprofondare quello che era uno dei paesi più prosperi dell’America Latina in una tragica guerra civile.