Il capomafia Giuseppe Graviano rompe un silenzio durato quasi 30 anni e ogni sua parola sembra destinata a provocare scosse sismiche, giudiziarie e politiche.
“Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitane” ha detto testualmente il boss di cosa nostra Giuseppe Graviano, già condannato a vari ergastoli per le stragi di mafia e numerosi omicidi.
Deponendo in videoconferenza nel processo “‘ndrangheta stragista”, in cui è imputato, in corso di svolgimento a Reggio Calabria, Graviano ha spesso anticipato le domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
“Con Berlusconi cenavamo anche insieme. E’ accaduto a Milano 3 in un appartamento. Con lui, tramite mio cugino Salvo avevamo un rapporto bellissimo”, ha aggiunto il capomafia, al vertice col fratello Filippo della borgata palermitana di Brancaccio, confermando alcuni passaggi delle intercettazioni nel carcere di Terni con l’esponente mafioso detenuto Umberto Adinolfi.
“Fu mio nonno materno, Filippo Quartararo – ha rivelato Giuseppe Graviano – ad iniziare ad avere i contatti con gli imprenditori milanesi. Poi, quando è morto mio padre, mi prese in disparte e mi disse << Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu>>”.
Giuseppe Graviano sostiene che il presunto incontro con Berlusconi sarebbe avvenuto all’Hotel Quark. “C’era mio cugino Salvatore e mio nonno Filippo Quartararo“, precisa. Il boss specifica che in quel periodo era latitante e parla anche di un altro, presunto, incontro con Silvio Berlusconi “nel dicembre 1993”.
“È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi”. Secondo Giuseppe Graviano lo scopo degli incontri era quello di valutare i proventi e le cointeressenze dei 20 miliardi di lire che il nonno del boss aveva investito nelle attività gestite da Berlusconi a Milano, tv e aziende immobiliari.
E’ l’inizio del pentimento di Giuseppe Graviano, al quale seguirà presumibilmente anche quello del fratello Filippo, pure lui condannato a vari ergastoli per mafia e stragi? Oppure è un messaggio trasversale a determinati settori, ma quali e a quale scopo ?
E’ ancora presto per dirlo, e mentre magistrati e investigatori hanno, se possibile, triplicato lo strettissimo riserbo, si registra l’immediato intervento dei legali difensori di Berlusconi: “Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed in veritieri” afferma l’avvocato e parlamentare di Forza Italia Nicolò Ghedini. Che aggiunge:” si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria per le dichiarazioni rese da Giuseppe Graviano, che sono – sostiene Ghedini- totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatori.”
Di seguito ripubblichiamo il post di zerozeronews del febbraio del 2015
La profezia della fine della mafia
Millenni diversi, due modi di essere: un unico metodo. Buddha e il Papa applicano contro la violenza e mafia l’ identico concetto. Quello della perseveranza.
“Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza ma alla sua perseveranza” diceva già nel VI secolo a. C. Siddharta, il vero nome di Buddha.
E come un fiume in piena Papa Francesco ripete da giugno 2014 ai mafiosi che sono scomunicati e insiste perché si convertano, si pentano. Scomunica e accorato appello alla conversione che il Pontefice ha gridato in faccia alla camorra e a cosa nostra a domicilio, nelle piazze e per le strade di Napoli, Scampia e Pompei.
Soltanto perseveranza o anche premonizione di una svolta nella lotta contro la mafia, quella di Papa Berboglio?
Nessun riscontro, solo intuizioni e la constatazione che da mesi all’interno delle cosche di cosa nostra, della camorra e della ‘ndrangheta si avvertono crescenti scricchiolii e cedimenti.
A Napoli la morte di Carmine Schiavone sta rilanciando la stagione di un pentitismo che ha toccato i vertici della Camorra: da Antonio Jovine a Salvatore Lo Russo.
Carmine Schiavone
E in Sicilia l’ultimo (o il penultimo?) collaboratore eccellente, Vito Galatolo, capeggiava una famiglia mafiosa appartenente al Gotha di cosa nostra.
Parallelamente alla perseveranza del Papa, sottotraccia, è in pieno svolgimento l’azione delle Procure distrettuali antimafia: Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro e, soprattutto, Palermo, Caltanissetta e Catania.
Dalla storia recente della lotta contro la mafia emerge il determinante impulso che mogli, compagne e figli hanno impresso alla decisione di numerosi padrini di pentirsi e collaborare con la giustizia: da Buscetta a Marino Mannoia, da Leonardo Messina a Calogero Canci, Giuseppe Ferrante, Giuseppe Marchese fino allo stesso Giovanni Brusca, il killer di Giovanni Falcone.
In proposito decisiva potrebbe risultare l’incidenza di Rosalia Galdi, detta Bibiana, consorte di Giuseppe Graviano e di Francesca Buttitta, moglie di Filippo Graviano, l’altro capo dei capi della cosca di Brancaccio.
Due donne, due svolte fino adesso mancate.
Nessuno ci spera, ma anche nessuno dispera…. Bibiana e Francesca rappresentano infatti i principali esempi di consorti di big di cosa nostra che mantengono il tradizionale e rigido assetto di vedove bianche, dedite ai figli e all’assistenza dei mariti condannati all’ergastolo o a lunghe pene detentive.
Ancora cinquantenni i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano sono diventati padri durante la detenzione e, se decidessero di pentirsi, potrebbero rifarsi una vita con i figli che non hanno mai potuto coccolare, visto giocare e studiare.
Filippo e Giuseppe Graviano
Diverse le ipotetiche motivazioni di Marcello Dell’Utri.
L’ex quarantennale alter ego di Silvio Berlusconi per il momento legge libri e tace, ma ha fatto più volte capire che non intende marcire in carcere.
Marcello Dell’Utri
Singolari destini incrociati: donne e mariti dalle carriere criminali parallele e talvolta intrecciate, che si ritrovano davanti allo stesso bivio: pentirsi o imputridire dietro le sbarre. Le loro rivelazioni aprirebbero squarci di verità sui misteri di Palermo e d’Italia.
Difficile stabilire chi conosce più segreti e misfatti. L’unica certezza è che si tratta comunque della sconvolgente realtà di un orribile sistema criminale del quale sono stati diversamente coprotagonisti.
Se i Graviano aprissero la diga delle rivelazioni, dalle stragi Falcone e Borsellino agli omicidi eccellenti (a cominciare dall’uccisione del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, dei segretari del Pci siciliano e della Dc di Palermo, Pio La Torre e Michele Reina, dei magistrati Terranova, Chinnici, Costa, degli investigatori Russo, Boris Giuliano, D’Aleo, Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, di Padre Pino Puglisi, ecc.) si spalancherebbe una gigantesca faglia sismica politico – finanziaria, e non solo.
Ancor di più eclatanti è presumibile siano i retroscena ipoteticamente gestiti da Dell’Utri: dai miliardi dei padrini Bontade e Inzerillo all’ascesa del Cavaliere, dall’epopea del biscione al boom elettorale di Forza Italia, fino ai giorni di Palazzo Chigi e al “gioco grande” di gasdotti e oleodotti.
Allucinazioni? Vane speranze ? Ipotesi irrealizzabili? Coscienti o inconsapevoli le donne “grimaldello” sono all’opera. Basta che accennino all’amore per i figli e al loro futuro. Gocce che scavano le rocce.
L’analisi intuitiva parte da una considerazione di base: dopo secoli di obbedienza totale, perinde ac cadaver (con l’insensibilitàdi un cadavere), il ruolo delle donne di mafia si è talmente emancipato da imporsi ai vertici delle cosche.
E come sostiene la sociologa Sally Berger “ il segreto per andare avanti è iniziare“ !