Lacrime incredule e tantissimi affettuosi ricordi per Enzo Mineo, dirigente della Cancelleria della Corte d’Appello di Palermo, professionista esemplare ed esempio di equilibrio e correttezza, improvvisamente rapito alla vita, all’affetto e alla stima di familiari ed amici.
Chi per anni si è quotidianamente professionalmente rapportato con lui, in uno dei frangenti più delicati della storia giudiziaria del Paese, lo sa e lo può confermare: all’onestà intellettuale, alla serenità e alla eccezionale capacità organizzativa, Vincenzo Mineo aggiungeva una quarta preziosa dote umana, oltre che culturale: era rigoroso, intransigente, ma comprensivo.
Anima mai sopra le righe o sovraesposta del maxi processo, Mineo ha dato un apporto decisivo alla ordinata e ineccepibile celebrazione del primo storico processo alla mafia degli anni ’80, celebratosi nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo fra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987, con 349 udienze e 36 giorni di riunione in camera di consiglio e conclusosi con 360 condanne, 19 ergastoli , 114 assoluzioni e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione.
Anima e memoria storica di un unicum giudiziario che portava la firma di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, del pool antimafia dell’Ufficio Istruzione e della Procura di Palermo.
Un’esperienza che Vincenzo Mineo ha poi trasfuso nella gestione organizzativa sempre ineccepibile dei tanti altri grandi e meno grandi processi contro cosa nostra celebrati nel bunker dell’Ucciardone o nelle aule del palazzo di giustizia di Palermo.
Come ha scritto Nietzsche “vi sono perdite che comunicano all’anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi.”