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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Con il lockdown, tra l’inverno e la primavera scorsa, si è vissuto un periodo paradossale. Per circa tre mesi si è sospeso l’abituale corso del tran tran quotidiano, si sono quasi del tutto interrotti i contatti fisici con l’esterno, ci si è immersi – ciascuno a modo proprio – in una solitudine nuova, sconosciuta.
E ciò mentre i media alimentavano le nostre paure raccontandoci gli esiti, tante volte letali, della guerra contro un virus tanto temibile quanto ignoto.
Proprio il lockdown, con le incertezze, angosce ed esasperazioni che l’hanno accompagnato, ha ispirarto il recente romanzo di Maurizio de Giovanni, scrittore napoletano di successo capace di sottrarsi a quel processo di omologazione verso il basso che spesso coinvolge, complice un’industria editoriale troppo condizionata dal mercato, i romanzieri più affermati.

Il romanzo ha un titolo eloquente e accattivante, “Il concerto dei destini fragili”, ed è edito da Solferino-Corriere della Sera. Vi si intrecciano tre storie: quella del Dottore, dell’Avvocato, di Svetlana.
Il Dottore è un giovane medico che vive rinchiuso nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale intento a soccorrere le vittime del micidiale virus: non si è assuefatto, come la maggior parte dei suoi colleghi, all’ineluttabile parabola del male, i pazienti –tutti, a cominciare da quelli più anziani destinati per primi a soccombere – sono per lui persone di cui prendersi cura anche nei momenti estremi.
L’Avvocato è un professionista che, prima del Coronavirus, aveva messo a tacere il male interiore che l’affliggeva vivendo una vita piena d’impegni di lavoro e di trasgressioni. Il lockdown è per lui come una cortina di tornasole: mette a nudo il suo vuoto esistenziale e fa sanguinare le cicatrici di un amore sempre vivo per una donna che, nel silenzio spettrale di quei giorni, ritorna a ossessionarlo. Svetlana è un’immigrata, vive in un piccolo appartamento con un compagno parassita, anche lui immigrato, e la figlia adolescente, Sonia, nata da una relazione con un altro uomo, poi sparito; è lei a mantenere la famiglia con i suoi lavori domestici a domicilio, che in tempi di lockdown scarseggiano.
Tre storie, tre vite, costrette a fare i conti con i mille disagi della pandemia. In ciascuna di esse vi è più di una fragilità: la fragilità della quotidiana esistenza che si accentua dinanzi a un cambiamento improvviso che fa vacillare le labili certezze alle quali erano aggrappate.
Per l’Avvocato e per Svetlana, l’epidemia è rivelatrice di condizioni fallimentari che richiedono capacità reattive, il coraggio della ribellione. Per il Dottore (che in qualche tratto ricorda il più razionale Bernard Rieux, il protagonista de “La peste” di Camus), il Covid-19 è la conferma della sua vocazione di medico.
In una città che volutamente rimane anonima – può essere Milano, Torino, Roma, non importa: ciò che importa sono le sue atmosfere ai limiti del surreale – gli sviluppi degli accadimenti faranno sì che, in un inatteso e coinvolgente finale, i tre si ritroveranno gli uni accanto agli altri in una sorprendente e drammatica combinazione dei loro “destini fragili”. 
“Il concerto dei destini fragili” è un romanzo lirico. Lo è per le situazioni “bordeline” – di confine tra l’apparente normalità e le voragini dei misteri esistenziali – che descrive penetrando nel vissuto quotidiano di personaggi che, nella loro diversità, costituiscono uno spaccato della nostra società.
Lo è per la carica emotiva che de Giovanni riesce a trasmettere ai lettori.
E lo è perché commuove senza ricorrere a espedienti letterari, senza forzare la mano, in un dosato equilibrio formale, interrogando e interrogandoci sul senso ultimo della nostra provvisoria esperienza umana.

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Saggista e critico letterario