Libia più guerra che pace: il deserto sopra Berlino dove il mondo al capezzale della moribonda ex colonia turca e italiana, trasformata in uno stato canaglia da Gheddafi, non riesce ad andare oltre un compromesso che sembra la premessa per la ripresa delle ostilità su tutti i fronti e non soltanto attorno a Tripoli.
Basteranno le eterogenee truppe di interposizione dell’Onu per scongiurare il bagno di sangue annunciato?
In tema di conferenze di pace, la capitale tedesca ha del resto un unico sinistro precedente che riguarda proprio l’Africa, la Kongokonferenz, la Conferenza di Berlino del 1884-1885 che sancì la creazione dello stato-colonia congolese considerata proprietà personale del Re Leopoldo II del Belgio. Decisione sciagurata seguita dal massacro, dalla riduzione in schiavitù e dallo sfruttamento di intere popolazioni. Una tragedia catastrofica della quale l’Africa paga ancora le conseguenze.
Partita con grandi speranze Berlino 2020 sembra essersi arenata fra le dune del doppio giochismo internazionale. “Non dobbiamo farci troppe illusioni. E’ probabilmente la solita conferenza traballante, come la tregua in Libia. Una conferenza risoltasi con una photo opportunity, per altro venuta male” commenta Michela Mercuri docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.
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Chi ha prevalso e chi ha dovuto abbozzare?
Chi si è avvantaggiato maggiormente è certamente il Generale Kalifa Aftar, per almeno due motivi: intanto è stata decisa la formazione di un nuovo governo di accordo nazionale, il che in qualche misura marginalizzerà completamente la posizione dell’attuale Premier al Serraj. Sconfessione che ha provocato l’abbandono di Berlino prima della conferenza stampa finale da parte del Presidente della Turchia Erdogan. Il secondo motivo è che non si è più parlato di ritiro, e quindi le truppe di Haftar continuano ad assediare Tripoli e di Misurata.
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E a livello internazionale chi ha prevalso?
Il veri vincitori della conferenza sono stati la Germania e la Cancelliera Angela Merkel. Non soltanto in quanto paese e leader ospitante, ma perché hanno messo attorno al tavolo delle trattative tutti i protagonisti mediterranei e internazionali.
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L’Italia come ne esce e che prospettive ha in Libia?
Il nostro paese esce dalla Conferenza di Berlino così come ne era entrato….con un ruolo di mediazione, parzialmente utile. Per la situazione energetica rimaniamo invece in bilico, non tanto per il temporaneo blocco dell’estrazione petrolifera, decisa da Haftar, quanto per gli accordi sulla zona economica esclusiva siglati il 27 novembre fra Serraj ed Erdogan e che consentono ad Ankara di avere diritti di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti petroliferi in un’area mediterranea fra le coste nord africane e quelle della Turchia.
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Saranno rispettate le linee della conferenza i Berlino?
Difficilmente in un contesto complesso come quello libico potranno essere rispettate tregua e risoluzioni della conferenza tedesca. In primo luogo perché la Turchia e Serraj faranno in modo che non possa concretizzarsi la formazione di un nuovo governo di accordo nazionale. E’ comunque già evidente una notevole differenza fra quello che è stato concordato a livello diplomatico e ciò che avviene sul terreno, perché a Tripoli si continua ancora a combattere. E questo ci fa capire che una parte ci sono le armi e dall’altra le trattative diplomatiche. Due rette parallele destinate a non incontrarsi. Vi è poi un terzo decisivo punto che lascia toccare con mano il mancato rispetto degli accordi di Berlino: Sarraj e Haftar e i loro alleati non rappresentano tutta la Libia, attraversata da molte e incontrollate milizie, da tribù, signori della guerra locali e da gruppi jihadisti rifugiatisi nel sud del paese, ma pronti a riprendere l’iniziativa.
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Il tempo a favore di chi gioca ?
Il tempo non esiste in Libia…tant’è che a fine gennaio è stata programmata una conferenza locale, coordinata dalle Nazioni Unite, con tutti i rappresentanti libici non presenti a Berlino: dai capi tribù ai comandanti delle milizie. In pratica uno stallo annunciato.