Cuore & Batticuore
Rubrica settimanale di posta. Storie di vita e vicende vissute
by Maggie S. Lorelli
Anch’io vorrei dire la mia sul #catcalling. Pur non richiesta e forse non opportuna, esprimo ugualmente la mia opinione perché in questo momento mi va e anche questo fa parte di quella libertà di espressione individuale senza tema di giudizio che credo sia un diritto inviolabile di ognuno. In questo senso trovo positivo che i social abbiano dato voce a tutti, anche agli idioti, purché non offendano nessuno, fatta eccezione talvolta per l’intelligenza.
Quindi, ne approfitterei. Tra l’altro nemmeno ce l’ho un’idea precisa ma, ora che ci penso, credo che ogni testimonianza sia importante, se può rappresentare una goccia nel mare del dibattito sulla parità o, più in generale, sul rispetto individuale. In questo caso secondo me parlarne è utile, perché si tratta di uno dei tanti comportamenti che sviliscono e reificano la donna. Inizialmente il nomignolo anglofono mi ha infastidito, ma credo che, esattamente come altri hashtag name, serva a catturare e concentrare l’attenzione pubblica su un problema che altrimenti sarebbe destinato, com’è sempre stato, a rimanere strisciante e non riconosciuto come tale. Ricordiamolo, ciò che non ha un nome, non esiste.
Come è accaduto col #metoo, che per un pò di tempo i molestatori d’assalto si sono presi seriamente paura di andarci di mezzo legalmente. Intanto, mi chiedo, perché si chiama così? Suppongo perché talvolta le donne vengono chiamate per strada con un sibilo, “pssss”, o con un fischio, come si fa con i gatti. E già questo di per sé è avvilente, non tanto per la vera catwoman, che del fischio se ne infischia, ma per il fatto che disturbare qualcuno che cammina beatamente per i fatti suoi è un atto di scarsa educazione, a meno che non si debba attirare la sua attenzione per una necessità specifica, come dargli delle crocchette in una ciotola per sfamarlo. Un termine spregiativo, se se ne indaga un antico uso, che per esempio fa riferimento a un modo greve, da parte del pubblico settecentesco, di apostrofare gli attori sgraditi, imitando appunto lo stridente miagolio notturno dei gatti. Stando all’accezione corrente, i comportamenti importuni possono essere molteplici, e vanno da quei complimenti sussurrati a mezza bocca quando gli uomini si ritrovano in branco, per giocare a fare i play-boy de noantri con gli amici al transitare di una bella figliuola, agli apprezzamenti più volgari che, soprattutto se sono accompagnati da una gestualità allusiva alla sfera sessuale, possono rasentare la molestia. A me è accaduto una volta che me ne andavo soletta per l’agro romano, felice e libera su di una bicicletta, mentre ascoltavo in cuffia gli Eurythmics. Percorrevo un sentiero sterrato, in un pomeriggio assolato e, a un certo punto, mi si è parato sul ciglio del viottolo, a ridosso di un piccolo casolare, un umano che sfarfallava il suo pene flaccido. La mia reazione immediata è stata accelerare con la bici che neanche Pantani in fuga sul Moritorlo nel Giro del ’94. Chiaramente la paura era che l’uomo mi fermasse e mi inseguisse per farmi del male. Avevo 19 anni.
