Alberto Rabagliati, Natalino Otto….canzoni, ricostruzione e guerra fredda: è l’Italia ante Sanremo, ancora alla ricerca di identità nazionale. Mentre nell’immaginario collettivo il boom economico e la Repubblica decollano con le prime edizioni del Festival della Canzone italiana, che battezza televisione e consumismo.
Ma cosa resta dell’ identità nazional popolare del Festival e che senso ha oggi Sanremo ? Pubblichiamo la riflessione inviataci dalla lettrice Pinkie
“.…e lontano, lontano nel tempo qualche cosa negli occhi di un altro ti farà ricordare i miei occhi….”
E’ davvero solo una coincidenza temporale se quando si avvicina il Carnevale arriva anche il Festival di Sanremo?
Si riscopre il salotto della canzone italiana, un salotto demodè, stinto, vecchiotto, ma comodo da usare e resistente come le poltrone di tanti anni fa su cui si rideva e si ride, si sbadigliava e si sbadiglia tra una canzone e un ospite spesso semisconosciuto, comunque proposto come una stella del firmamento musicale internazionale.
L’ “altro slogan” delle prossime giornate rituali e troppo piene di canzoni quest’anno è “Tenco nel cuore”, il cantautore triste con gli occhi senza fondo che ha strappato il velo dell’innocenza alle velleità canterine pre-sessantottine. Intelligente, sensibile, disperato, ironico e solo.
Piaceva tanto alle ragazze degli anni ’60 per quella certa aria maledetta incollata al sorriso raro.
Ed era così ironico da rispondere alla solita domanda “…perchè scrivi canzoni tristi?” con la verità semplice dei poeti leopardiani “…perchè quando sono allegro esco”
Un colpo di pistola in una serata alterata, due righe scritte ricordando quanto volasse bassa la musica in Italia e la fretta di archiviare dolori inadeguati in posti inappropriati per scegliere lo spettacolo della morte.
Che la musica di Sanremo ogni anno sia più che altro un prodotto commerciale non brillante è una regola fissa: spesso si dimenticano anche i nomi degli interpreti .
Gianni Pettenati: due canzoni, di cui una citata proprio da Luigi Tenco nelle due righe lasciate – La rivoluzione – (Motivetto pseudopacifista, solo metaforicamente legato alla rivoluzione vera che sarebbe arrivata l’anno successivo), chi era costui?
Ma i nomi sono tanti e la pietre miliare del bel canto resta la constatazione mesta che mentre da noi si cantava “Io tu e le rose”, i Rolling Stones avevano già scritto Paint it black, i Pink Floyd esplodevano con le sonorità di The Piper at the Gates of Dawn e i Beatles registravano il capolavoro Sgt Pepper’s.
Gli ingredienti delle serate sono i soliti anche quest’anno: la scala verso il palco e la paura di cadere, l’emozione e/o l’influenza, comunque la febbre, di una delle protagoniste belle e brave, il presentatore garbato, l’ospite noto e allergico alla gara, l’ospite straniero meno noto ma desideroso di vendere musica, il comico/a famoso e quello che sta per diventarlo, qualche bambino in arrivo o arrivato da poco nel mondo, forse un calciatore o un atleta e l’immancabile nota triste che quest’anno è il suicidio del musicista disabile Pietro Petrullo che aveva lasciato da qualche tempo il gruppo “I ladri di carrozzelle” che si esibirà la sera della finale.
In questa edizione mancherà Beppe Vessicchio, maestro e direttore d’orchestra autoironico e bravo.
Ci sarà ancora Albano, per definizione iconografica “vecchio leone indomito”, nonostante il cuore malandato e una gran voce.
E’ una sorta di circo, una celebrazione, un rito mediatico, quasi scaramantico che accompagna gli italiani fuori dall’inverno, prendiamolo come viene, senza troppe aspettative, troppa seriosità, troppo interesse, arriva e passa in fretta, come gli acquazzoni e il vento delle giornate di febbraio.
Pinkie