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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Districarsi nel ginepraio della vita tra indecifrabili enigmi e invalicabili muraglie é arduo e, tutt’oggi, il racconto mitologico tramandato dall’antichità greca rimane una chiave (pur nei suoi limiti intrinseci) per tentare di decriptare l’arcano e di esplorare gli abissi tenebrosi dell’anima.
Tra i miti, quello di Edipo è fonte da sempre – da Sofocle ai nostri giorni, passando per Seneca, Corneille, Gide, Cocteau, Testori – di spunti letterari e di approfondimenti analitici (si pensi al complesso d’Edipo, teoria centrale della psicanalisi freudiana).
Il mito di Edipo ritorna in una pièce del drammaturgo siciliano Gianfranco Perriera, Non riconosco allo specchio, da poco pubblicata da Torri del Vento.
Nel testo di Perriera, a raccontarci la vita del Re di Tebe e il suo dramma è un altro personaggio mitologico, Tiresia, l’indovino cieco che nell’Edipo re gli predice l’infausta sorte.
Due figure diverse e affini, Edipo e Tiresia: la cecità le accomuna (ma in Tiresia è congenita e in Edipo effetto della punizione che lui stesso s’affligge) e, con essa, un rapporto privilegiato e dannato con la conoscenza: Tiresia la detiene per condizione ontologica nel paradosso di una cecità che gli consente di vedere l’invisibile; Edipo risolve l’enigma della Sfinge e cerca la verità con spregiudicatezza e devozione spinta al sacrificio.
Senza contare la dualità che connota sia Tiresia che Edipo, il primo per l’essersi incarnato nel corpo femminile e in quello maschile, il secondo per essere a un tempo sposo e figlio di una stessa donna.
