Sicilia the day after
Preferenze, percentuali, collegi: oltre alla matematica in Sicilia la radiografia del voto nel day after delle regionali è un insieme di puzzle concentrici.
Si va dal peso elettorale dei candidati alla mappatura dei voti. Dall’ aggregazione alla scomposizione di alleanze e cordate. Una disamina che spesso corre parallela a “L’interpretazione dei sogni” di Freud e alla sottigliezza di “Uno nessuno e centomila” di Pirandello.
Ci sono perdenti fra i vincitori e vincitori fra i perdenti. Per esempio: nella débâcle del Pd spiccano la valanga di preferenze di Luca Sammartino e il successo ad Enna di Luisa Lantieri, già componente della segreteria di Totò Cuffaro, e a Ragusa dell’ex Pdl Nello Di Pasquale.
Nel centro destra invece nella disfida degli eredi fra Nino Germanà e Luigi Genovese prevale il figlio dell’ex parlamentare Pd.
Al centro del centro della appena ricomposta scena politica siciliana i riflettori convergono tutti sul tre volte ministro Salvatore Cardinale, forte dell’exploit della sua esordiente lista personale Sicilia Futura e soprattutto della trentennale esperienza politica, “una vita da mediano” per dirla con la canzone di Ligabue. I suoi due parlamentari regionali Nicola D’Agostino e Edy Tamajo sono infatti strategici per il consolidamento della maggioranza del Presidente Nello Musumeci.
Tanto strategici che D’Agostino potrebbe contendere al leader di Forza Italia Gianfranco Micciché e al Pd Giuseppe Lupo l’elezione a Presidente dell’Assemblea Regionale. Il primo banco di prova della maggioranza e degli equilibri interni negli schieramenti.
Non è un mistero che la corsa agli assessorati e allo spoil system stia provocando più di un braccio di ferro foderato da velluto fra i quartier generali di Musumeci a Catania e quello di Forza Italia a Palermo.
Dalla Sicilia a Roma l’effetto regionali accentua il marasma in corso nel Pd e la corsa ad Arcore che sta caratterizzando tutta la vasta area del centrodestra, in particolare dei reduci di Angelino Alfano e dei figliol prodighi che avevano seguito Raffaele Fitto e Denis Verdini.
In mezzo al guado, alla ricerca del seggio perduto, nella compagine del Ministro degli Esteri, annaspano soprattutto il Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, l’ex sottosegretario Simona Vicari e gli esponenti milanesi Maurizio Lupi e Roberto Formigoni.
Al Nazareno il voto siciliano ha innescato una reazione a catena. La lista dei capi d’accusa e delle recriminazioni nei confronti di Matteo Renzi si allunga di ora in ora.
Prima di uscire allo scoperto Franceschini, Orlando, Finocchiaro, Calenda, Zanda, Padoan, Veltroni, Minniti, Fioroni, Prodi e forse anche Del Rio e Rosato, aspettano che si esauriscano tutte le puntate dell’autodifesa impossibile del Segretario: l’ammissione della sconfitta, la mozione degli affetti, l’alibi della Sicilia patria del centrodestra, il rimpianto per la mancata candidatura del Presidente del Senato, il mezzo gaudio per la parallela sconfitta dei 5 Stelle.
Un repertorio che sarà utilizzato come ennesima prova a carico per accusare Renzi di essere il responsabile unico della terza, e più grave, disfatta di fila. Fra le righe si intuisce che oltre alla scelta di un candidato Premier che non può più coincidere col Segretario, si punta ad un Direttorio per guidare il Pd alle politiche.
In attesa che il Pd post renziano proponga di avviare trattative di coalizione per le politiche della primavera 2018, tutto l’arco della sinistra che va da Mdp, a Fratoianni a Civati, fino a Montanari e ai duri e puri dell’assemblea del Brancaccio, si sta intanto predisponendo per designare Piero Grasso quale candidato Premier unitario.
La nuttata siciliana in casa Cinque stelle ancora non è passata. A Genova e a Milano sui monitor dei computer di Beppe Grillo e Davide Casaleggio rimbalza la delusione e la rabbia del popolo grillino che si sentiva la vittoria in tasca.
I quadri siciliani in particolare mugugnano sul fatto che Di Maio e Di Battista e lo stesso Grillo abbiano incanalato la campagna elettorale sulle problematiche nazionali, mettendo in secondo piano le tante emergenze dell’Isola. A Genova e Milano i vertici riflettono, invece, sull’appeal della candidatura di Giancarlo Cancelleri. Prevale la conclusione che con un candidato più autorevole, per esempio un magistrato, come si era pensato in un primo momento, i Cinque Stelle avrebbero sicuramente vinto.