Mentre zoom e titoli mediatici continuano a concentrarsi sulla condanna del Cardinale Giovanni Angelo Becciu, quasi nessuno ha notato il rapido defilarsi dalle pieghe della storia dell’altro protagonista dell’inedito processo ad un Principe della Chiesa: il Presidente del Tribunale della Santa Sede, Giuseppe Pignatone.
«Non c’é storia senza personaggi», senza scomodare la critica letteraria e la valenza sociale delle rappresentazioni greche e shakespeariane o dei grandi processi, le 86 udienze del procedimento vaticano si sono avvalse della 45ennale esperienza di uno dei pochi magistrati italiani che da Procuratore della Repubblica hanno fronteggiato e sconfitto cosa nostra, la ‘ndrangheta e la mafia Capitale.
Con l’innegabile capacità d’analisi e di valutazione, acquisita dal maxiprocesso di Palermo alle indagini internazionali sui traffici di droga ed il riciclaggio delle ‘ndrine calabresi, agli inconfessabili intrecci romani fra criminalità, politica e poteri istituzionali border line, Giuseppe Pignatone ha condotto in parte come un direttore d’orchestra ed in parte come un chirurgo, la delicatissima radiografia giudiziaria all’interno della quarta mafia che mancava al suo prestigioso curriculum: la mafia vaticana.
Un contesto finora appena sfiorato, che soltanto il coraggio e la caparbietà gesuitica di Papa Francesco sta iniziando a esplorare. Con un evidente obiettivo: la restitutio in integrum della credibilità evangelica e profetica della Chiesa cattolica, azzerando le conseguenze, ma smascherando le responsabilità, delle pagine oscure dei rapporti con Michele Sindona, Roberto Calvi e dello Ior in versione uno nessuno e centomila di Marcinkus.
Vicende sconvolgenti sulle quali sono in corso nuove indagini e che, almeno concettualmente, per quando riguarda la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana, sono metodologicamente ricollegabili alla condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione, l’ interdizione perpetua dai pubblici uffici per peculato e truffa del Cardinale Becciu e alle varie condanne per gli altri 9 coimputati.
Fedele alla sua proverbiale laconicità, il Presidente del primo processo ad un Porporato ha provato a sgusciare inosservato dalla scena mediatica con una dichiarazione che rappresenta insieme la sua concezione della giustizia e il suo stile da algoritmo vivente del Diritto, come viene unanimemente considerato dai colleghi e dai giornalisti: “il contraddittorio tra le parti é il metodo migliore per raggiungere la verità processuale e, mi permetto di aggiungere, per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi”.
Parafrasando George Orwell, si può ben dire che in tempi di menzogne universali, fake news, influencer e presenzialisti a tutto spiano, l’avvicinarsi alla verità senza aggettivi di Giuseppe Pignatone é un atto rivoluzionario.