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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Ho appreso solo in questi giorni che il 15 novembre 2023 é deceduto a Tokio, all’età di 95 anni, Daisaku Ikeda.

Ignoravo questo nome sino a quando, poche settimane fa, un amico caro mi ha regalato il volume di Lawrence Edward Carter, Il maestro buddista di un pastore battista. Come il mio viaggio interreligioso con Daisaku Ikeda mi ha reso un cristiano migliore, Esperia Edizioni, Milano 2020. 
In esso l’autore ricostruisce una genealogia giapponese: Nichiren Daishonin (1222-1282) è stato un illustre maestro buddista i cui insegnamenti sono stati ripresi e rilanciati nel XX secolo da Tsunesaburo Makiguchi (1871 – 1944); quest’ultimo, deceduto in carcere perché contrario al culto obbligatorio verso la persona ‘divina’ dell’Imperatore, ha avuto come discepolo e prosecutore Josei Toda (1900 – 1958) che è considerato l’architetto del progetto filosofico-spirituale-educativo noto come Soka Gakkai. Il testimone passò, infine, a Daisaku Ikeda che ha dedicato la lunga e feconda esistenza alla diffusione di questa versione ‘laica’ del buddismo in tutto il mondo, costruendo “un sistema scolastico che va dall’asilo alle scuole superiori in Giappone, asili a Singapore, Hong Kong, Malesia e Corea del Sud, un asilo e una scuola elementare in Brasile e due università, una in Giappone e l’altra in America. Tutte queste istituzioni scolastiche si fondano su una pedagogia della pace che cerca di ispirare gli studenti a un’etica di dedizione e realizzazione, basata non sulla competizione, ma sulla cooperazione” (p. 153). La libertà intellettuale e spirituale con cui ha rielaborato la tradizione millenaria buddista gli ha procurato critiche e scomuniche da parte di potenti esponenti del ‘clero’ buddista ortodosso.
Carter, da pastore della Chiesa battista e Decano della Cappella internazionale “Martin Luther King” di Atlanta (USA), incontra, agli inizi del Millennio attuale, Ikeda e la Soka Gakkai in una fase di sconforto.
L’invito a perseguire non “una ‘pace passiva’ – l’assenza di guerre – ma la trasformazione radicale delle strutture sociali che minacciano la dignità umana” (p. 187), già udito dalla viva voce di Martin Luther King, gli risuona come nuovo: il pensatore giapponese e il suo movimento gli danno “le ali di una rinnovata speranza che la pace, anche in quest’epoca sempre più caotica, terrificante, violenta e assetata di guerra, sia un obiettivo a cui vale la pena aspirare” (p. 176). Essi risvegliano in lui la convinzione, condivisa da tutti i giganti della storia, che, “al fine di trovare il filo conduttore profondo che ci unisce aldi là di tutti i confini”, bisogna superare “i limiti di etnia, nazionalità, religione, lingua, genere e cultura” sino ad “attingere a un fiume sotterraneo di saggezza che scorre sotto tutte queste stratificazioni storico-culturali” (p. 104).
Così l’autore può chiudere il suo libro con una promessa: “Così come Gandhi aveva il suo Martin Luther King e Martin Luther King ha il suo Ikeda, Ikeda avrà il suo Carter”, non per prenderne il posto ma per seguirne l’esempio, offrendo il “contributo nel portare avanti il messaggio di pace e nonviolenza – i nuovi ‘superpoteri’ dell’umanità- e nel condividere la ‘buona novella’ per cui siamo tutti fratelli e sorelle che convivono in una casa mondiale, un villaggio globale che possiamo rendere meraviglioso impegnandoci insieme e mettendo al primo posto l’umanità” (p. 191).