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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
In una lunga composizione in versi romaneschi, Cesare Pascarella immagina uno scambio fra gli invasori europei e un povero indio centro-americano: “– A quell’omo! je fecero, chi séte? / E, fece, chi ho da esse?/Sò un servvaggio”. L’ironia è sottile, amarissima: la nostra identità dipende, in primis, dallo sguardo dell’altro. Poi sta a ciascuno di noi decidere se accettare il verdetto altrui o vagliarne la correttezza.
E’ capitato, anzi capita, anche a noi siciliani: la nostra autocoscienza si è andata strutturando in reazione dialettica con l’immagine che ci hanno restituito i nostri ‘altri’ (conquistatori, scienziati sociali o turisti, a seconda dei casi), ora recependola con assenso ora rigettandola in dissenso.
Da qui l’interesse di un libro come Un paradiso popolato da diavoli. La Sicilia negli occhi degli altri (Dario Flaccovio Editore, Palermo 2023), di Antonino Cangemi, autore apprezzato dai non pochi lettori dei fortunati scritti precedenti, per la vastità dell’erudizione, l’arguzia delle osservazioni e il garbo accattivante del registro comunicativo. Egli infatti, raccogliendo in sezioni tematiche vari interventi pubblicati su quotidiani e riviste, racconta e commenta i giudizi sull’isola e i suoi abitanti espressi nei secoli da visitatori di qualità: da Goethe (che vi vede la “chiave” per leggere l’Italia, forse perché come l’intera Penisola “fascinosa” quanto “vittima di calamità naturali e di cattive amministrazioni”, p. 69) a Pier Paolo Pasolini (che vi trova “la più bella gente d’Italia”, p. 217); dall’arabo-andaluso Ibn Iubayr (incantato dalla bellezza delle palermitane al punto da sperare che “Dio le faccia prigioniere dei musulmani”, p. 42) al torinese Pietro Zullino (a cui l’amministrazione regionale appare una sorta di riedizione dell’Inquisizione per via dei privilegi scandalosi di cui godono dirigenti e affiliati, p. 153).
Personalmente sono stato colpito da quei passi in cui l’acume osservativo del visitatore smonta alcuni stereotipi più frequenti sui siciliani.
Tutti cittadini infidi? Cicerone esalta, invece, “l’esempio che in quella lontana nobile provincia danno molti uomini onesti e meritevoli di giustizia, il senso del dovere, il rispetto verso le leggi di Roma” (p. 36).
Terra infestata da briganti? “Se ricercate le coltellate e gli arresti, andate a Parigi o a Londra, ma non venite in Sicilia” scrive Guy de Maupassant (p. 78). E Wagner gli fa eco quando, commentando con il proprietario dell’Hotel delle palme il conto salatissimo del suo soggiorno, gli dice: “In Sicilia ho incontrato un solo brigante: lei” (p. 167). Anche Freud ritiene di dover “vivamente contraddire” il pregiudizio, che egli stesso aveva coltivato, che “in Sicilia si sia per così dire tra i selvaggi ed esposti a straordinari pericoli. Si hanno le stesse sensazioni e le stesse condizioni di vita che ci sono a Firenze e a Roma” (p. 180).
Un itinerario particolare attraverso la pagine del libro potrebbe essere sotto il segno della culinaria. Infatti la Sicilia è anche cibo, crudo o cucinato.
Dal cannolo attestato da Cicerone (“tabus farinanus, dulcissimo, edulio ex lacte facto”: “tubo di farina ripieno di dolcissima crema di latte”, p. 38) al fico d’India descritto da Alexandre Dumas padre (frutto “della grandezza di uovo di gallina, avvolto in un involucro verde, difeso da ciuffi di spine la cui puntura provoca una dolorosa e prolungata sensazione di prurito”, p. 71) ; dal “marsala” che l’inglese John Woodhouse inventa negli anni a cavallo fra Settecento e Ottocento aggiungendo, al già ottimo vino del trapanese, delle percentuali di “rhum” (p. 74) ai “monumenti di cavolfiore bianco ricotta e viola scuro” del mercato di Taormina (“cavolfiori meravigliosi, come fasci di fiori, intensi e purpurei come grandi mazzi di violette”, p. 101).
Qualche volta l’ospite esagera come capitò a Georges Simenon: “Ah, Messina! Come sarebbe bello mangiare una cassata! A quanto pare sono i gelati più buoni del mondo. E allora ci precipitiamo. Ne mangiamo una, due, tre, e la notte abbiamo tutti mal di pancia. L’indomani la sola vista di una pasticceria o di gente che mangia il gelato ai tavolini di un caffè ci dà la nausea” (p.148).