Dietro la mafia le impronte di un indicibile Stato parallelo
Non più l’ombra. Questa volta dietro la strage imperfetta di via D’Amelio ci sono le impronte di uno Stato parallelo, di una inconfessabile realtà criminale riconducibile a apparati istituzionali, che per carità di Patria vengono definiti deviati.
Imperfetta perché evidenzia tracce e responsabilità concrete che consentono di risalire alle complicità fra la mafia e alti esponenti degli apparati investigativi e dei servizi di sicurezza.
Convergenze, interventi e complicità che si percepiscono o peggio si toccano con mano anche nelle inchieste per l’assassinio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, del caso Moro, l’uccisione del Generale Dalla Chiesa, l’agguato a Pio La Torre, la strage Chinnici, l’attentato di Capaci. Tanti buchi neri che fanno temere che in molte occasioni lo stato parallelo possa essersi sovrapposto alla mafia e al terrorismo.
“Al di là di ogni dubbio è stato accertato che alcuni pezzi dello Stato hanno agito in sinergia con la mafia” conferma il giornalista dell’Ansa e saggista Franco Nicastro, autore fra gli altri libri di “Mafia, 007, massoni” e “Il grande depistaggio”.
- Che idea ti sei fatta dell’inchiesta sull’inchiesta della strage Borsellino ?
Che altro significato può avere il depistaggio organizzato che ha calato molte ombre sulla strage di via d’Amelio? Falsificare la realtà, manipolare la verità, scrivere una storia taroccata ha finito per dare inspiegabili coperture alla mafia. E alle entità occulte che con la mafia avevano stretto un patto scellerato. Malgrado queste certezze, non si riesce ad avere una piena contezza di quanto è accaduto: non è ben chiaro perché il “più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana” sia stato organizzato. Di solito le bugie di Stato sono state giustificate da “superiori esigenze”. Ma quali erano le “superiori esigenze” che imponevano una falsificazione così eclatante? E a chi facevano riferimento le “schegge impazzite” che lavoravano per affermare una falsa verità? Stranamente il procedimento per il grande depistaggio riguarda solo funzionari di polizia mentre non tocca, o soltanto sfiora, i magistrati che avallarono più per colpa che per dolo l’infernale meccanismo della falsificazione. Giustamente Fiammetta Borsellino chiede al Csm un atto di chiarezza. Voglio sperare che la sua denuncia venga raccolta nelle sedi più appropriate, e anche presto. Alcuni magistrati devono dare conto della loro pigrizia e delle loro condotte omissive. La verità sulle stragi è una domanda che va in direzione dell’interesse del Paese e della democrazia. È un’esigenza che pone la stessa sentenza di Caltanissetta laddove sostiene che tutta una serie di elementi oscuri e controversi avrebbero “logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle dichiarazioni di Scarantino, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, positivi o negativi che fossero, secondo le migliori esperienze maturate nel contrasto alla criminalità organizzata incentrate su quello che veniva, giustamente, definito il metodo Falcone.
- Come per le brigate rosse nel caso Moro possiano dire che a Capaci e in via D’Amelio e Capaci c’era anche la mafia?
Sono arrivato alle stesse conclusioni di Paolo Borsellino. Il giorno prima di morire, in un momento di grande amarezza e lucida premonizione, il magistrato disse alla moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia ma saranno altri a farmi uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Chi siano gli altri non è stato mai accertato. Non lo dice neanche la sentenza di Caltanissetta. Ma sono state incrociate ombre, presenze, figure di un livello che rappresenta uno snodo cruciale di interessi: politici, criminali, imprenditoriali, finanziari. In questo potere magmatico e intrecciato vanno cercate le motivazioni delle stragi. Una cosa comunque si può affermare: servivano a intimidire e a ricattare lo Stato. Contenevano messaggi perché si fermasse la macchina repressiva che, bastava volerlo, avrebbe potuto stritolare Cosa nostra. Come poi è accaduto. Ma solo dopo. Uno Stato che si fa ricattare evidentemente non ha tutte le carte in regola. La sua debolezza è riconducibile, a mio giudizio, all’esistenza di zone grigie dove si contrattavano scambi indicibili, per usare un’espressione entrata in uno dei processi più mediatizzati degli ultimi anni.
- Quale il legame occulto fra terrorismo mafioso, politica e apparati deviati e non? Quando si sono interrotti questi legami e soprattutto se ne verrà a capo?
Dell’esistenza di legami oscuri sono state raccolte molte tracce. Bisogna stare attenti ai fatti rifuggendo dalla tentazione di costruire teoremi. La materia si presta, le ombre sono troppo dense. Più che a una conclusione mi concentrerei perciò sulla fase di partenza. Lo Stato deve guardarsi all’interno e ripulire le zone infette. Se è vero, come molti segnali sembrano indicare, che sulle stragi di mafia c’è stata una regia politica, allora il Parlamento faccia la propria parte. Più volte è stata proposta una commissione d’inchiesta. Si faccia al più presto.